4 Marzo 2020

Detassazione dei premi di risultato: risvolti contrattuali

di Alessandro Carlesimo
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La scheda di FISCOPRATICO

Nella realtà imprenditoriale si assiste sempre più di frequente all’instaurazione di rapporti di lavoro che prevedono la corresponsione di emolumenti comprensivi di quote variabili da riconoscere subordinatamente al raggiungimento di obiettivi predeterminati. Tale prassi è promossa dal Legislatore con agevolazioni fiscali in grado di rendere maggiormente appetibile il ricorso a formule contrattuali che assecondano tali schemi retributivi.

La contrattazione nazionale, territoriale o aziendale assume in questo contesto un ruolo centrale. L’articolo 1, comma 187 della Legge di Bilancio 2016 prevede infatti che i premi di risultato possano fruire delle riduzioni fiscali a condizione che vengano erogati in esecuzione dei contratti nazionali, territoriali o aziendali stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali (RSA) o dalla rappresentanza sindacale unitaria (RSU). Come chiarito nella circolare 5/E/2018 dell’Agenzia delle Entrate, qualora l’azienda sia priva di rappresentanza sindacale interna, potrà comunque beneficiare dell’imposizione agevolata a patto che recepisca:

  1. il contratto collettivo territoriale di settore;
  2. contratto territoriale più aderente alla propria realtà, se non è stato stipulato un contratto territoriale di settore.

Restano invece esclusi dai benefici fiscali i premi di risultato previsti da contratti individuali intercorsi tra datore di lavoro e lavoratore che non replichino i paradigmi di alcun contratto di settore (cfr. circolare 3/E/2011).

Si ricorda che le agevolazioni fiscali menzionate sono racchiuse nell’articolo 1, commi da 182 a 190, L. 208/2015 e consistono in un sistema di tassazione sostitutivo dell’Irpef e delle addizionali regionali e comunali. Più precisamente, è prevista un’imposta sostitutiva del 10% applicabile ai premi di risultato di ammontare variabile la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione, misurabili e verificabili.  Medesimo trattamento fiscale è riservato alle somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili aziendali.

Il regime fiscale opera in luogo della tassazione ordinaria, semprechè l’entità dei bonus sia contenuta entro i 3.000 euro annui e a patto che il percettore abbia prodotto, nell’anno antecedente, un reddito di lavoro dipendente non superiore a euro 80.000.

Tale intervento, evidentemente ispirato dalla ratio legis di favorire il miglioramento delle performance aziendali mediante la riduzione dell’onere fiscale gravante sui “bonus”, presuppone la stipula di contratti in grado di individuare condizioni precise al verificarsi delle quali matura il diritto alla corresponsione dei corrispettivi variabili.

Al Ministero Del Lavoro e delle Politiche Sociali è demandata l’indicazione delle linee-guida idonee a delineare i criteri di misurazione dei miglioramenti in termini di produttività, redditività, qualità, efficienza, innovazione ed i criteri di individuazione delle somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa. Tali criteri sono stati trasfusi nel D.M. 25.03.2016, il quale stabilisce gli indicatori di incrementalità utili a verificare che “sia stato realizzato l’incremento di almeno uno degli obiettivi di produttività, redditività, qualità, efficienza, ed innovazione richiamati dalla norma” (circolare AdE 28/E 2016).

Il provvedimento identifica nel miglioramento della qualità dei prodotti e dei processi, nel risparmio dei fattori produttivi e nell’aumento della produttività, gli elementi da verificare al fine di attribuire i premi assoggettati ad imposta sostitutiva, raccomandando di esplicitare contrattualmente “indicatori numerici o di altro genere” verificabili in modo obiettivo rispetto ad un periodo congruo rimesso all’autonomia contrattuale. L’estensione di tale periodo è rimessa alla contrattazione di secondo livello e può essere annuale o infrannuale; ciò che conta è che sia consentito il raffronto dei risultati da un periodo all’altro.

Nel caso di indicizzazione della retribuzione variabile agli utili dell’impresa, il D.M. citato richiede che le parti contrattuali facciano riferimento all’utile distribuito, correlando gli emolumenti all’osservazione di suddetto valore.

Particolare attenzione in sede di contrattazione deve essere altresì concentrata nelle ipotesi di corresponsione del premio sottoforma di beni e servizi (cd. fringe benefit).

L’articolo 1, comma 184, della Legge citata dispone che i premi in natura di cui all’articolo 51, commi 2 e 3, Tuir, non concorrono a formare reddito di lavoro dipendente, nè sono soggetti all’imposta sostitutiva, anche nell’ eventualità in cui gli stessi siano fruiti, per scelta del lavoratore, in sostituzione, in tutto o in parte, degli emolumenti variabili.

Tuttavia, affinché operi la detassazione del benefit è necessario che la contrattazione di secondo livello espliciti la condizione di fungibilità tra la componente monetaria e l’equivalente riprodotto sottoforma di beni e servizi.

In altri termini, le parti devono convenire la possibilità, per il dipendente, di commutare i premi monetari in fringe benefit. Analoghe considerazioni valgono qualora la retribuzione premiale sia riconducibile ai servizi di cui all’articolo 51 comma 4, Tuir (ad es. concessione veicoli aziendali), i quali sfuggono ad imposizione sostitutiva e concorrono a formare reddito di lavoro dipendente secondo con le modalità forfettizzate previste dal suddetto comma.

In ultima istanza, si rammenta che è obbligatorio il deposito del contratto entro 30 giorni dalla sottoscrizione attraverso il canale telematico messo a disposizione dal Ministero del Lavoro.