DDL Bilancio 2026: prima valutazione delle norme fiscali per le imprese
di Settore Fisco e Diritto d’Impresa di AssolombardaLa Legge di Bilancio 2026 ha avviato il proprio iter parlamentare con un impianto particolarmente articolato, composto da ben 154 articoli.
Limitando l’analisi alle sole disposizioni fiscali che incidono sul reddito d’impresa e sui lavoratori dipendenti, emerge tuttavia una percezione netta: non siamo ancora di fronte a quel cambio di passo strutturale che le imprese attendevano in termini di competitività, stabilità e semplificazione del quadro normativo.
I segnali più critici provengono proprio dalla fiscalità d’impresa: la soppressione dell’IRES premiale, le restrizioni sulle compensazioni dei crediti fiscali e sulle plusvalenze e le modifiche alla disciplina dei dividendi, che introducono una soglia minima di partecipazione per fruire dell’esenzione parziale, delineano un contesto che rischia di indebolire ulteriormente la fiducia e la capacità di pianificazione del tessuto produttivo.
L’addio all’IRES premiale: un’occasione mancata
La cancellazione dell’IRES premiale rappresenta un passo indietro significativo. Non tanto per gli impatti (modesti) che la misura ha prodotto, quanto perché – dopo la soppressione dell’ACE – ci si aspettava un segnale diverso, coerente con i principi della Legge delega fiscale.
Quest’ultima, infatti, prefigurava un meccanismo strutturale di riduzione dell’IRES, volto ad alleggerire l’aliquota sugli utili reinvestiti in investimenti qualificati o in nuova occupazione, con un orizzonte temporale certo e funzionale alla pianificazione aziendale.
La mancata attuazione di tale principio priva le imprese di una leva fiscale strategica per rafforzare la base produttiva, in un contesto internazionale segnato da tensioni commerciali, aumento dei costi energetici e indebolimento del settore manifatturiero europeo.
Il ritorno dell’iper-ammortamento: bene l’impostazione, meno la cornice
Il DDL Bilancio ripristina, a partire dal 2026, l’iper-ammortamento, in sostituzione dei crediti d’imposta 4.0 e 5.0.
La sua reintroduzione era stata auspicata dal mondo produttivo, per la sua logica applicativa semplice e già sperimentata, priva di procedure autorizzative e con un’automatica fruibilità in sede di dichiarazione.
La nuova disciplina, invece, presenta un perimetro temporale eccessivamente ristretto: vale un solo anno, con possibilità di estendere il beneficio fino a giugno 2027 soltanto in presenza di prenotazione. Un orizzonte così breve rischia di penalizzare gli investimenti industriali più significativi, che richiedono scelte decisionali e tempistiche fisiologicamente più lunghe.
Inoltre, i consueti ritardi nell’emanazione delle disposizioni attuative – come da ultimo sperimentato con l’IRES premiale – potrebbero ulteriormente comprimere la finestra temporale.
Oltre all’orizzonte estremamente limitato, la nuova disposizione presenta diverse criticità strutturali:
- gli Allegati A e B della Legge 232/2016 – che definiscono gli investimenti ammissibili – non vengono aggiornati da quasi un decennio, con il rischio di escludere le tecnologie più recenti;
- le procedure di autorizzazione affidate al GSE potrebbero comportare iter lenti e farraginosi, come ha dimostrato la recente esperienza del credito d’imposta 5.0;
- ai fini della collocazione temporale degli investimenti, occorre che si faccia riferimento alla competenza fiscale. In assenza di tale precisazione – nella norma primaria o nelle disposizioni attuative – vi è il concreto rischio che gli investimenti avviati negli ultimi mesi del 2025 restino esclusi sia dal credito d’imposta per beni 4.0 (a causa dell’esaurimento delle risorse disponibili) sia dal nuovo iper-ammortamento.
In definitiva, pur riconoscendo la bontà della misura, occorrerebbe semplificare sensibilmente le procedure di accesso al beneficio e garantire un orizzonte almeno triennale, altrimenti il rischio è di restare ancorati a un sistema che continua a privilegiare la logica dell’emergenza rispetto a quella della pianificazione degli investimenti aziendali.
Dividendi: la nuova soglia e i rischi di distorsione
La revisione del regime applicabile ai dividendi percepiti nel reddito d’impresa rappresenta un elemento di forte criticità.
La norma introduce una soglia partecipativa che limita l’esclusione dal reddito nella misura del 95% (ovvero del 60%, 50,28% o 41,86% per le società di persone) ai soli percettori in possesso di una quota almeno pari al 10% del capitale sociale della società erogante. Le partecipazioni “sotto soglia” diverranno integralmente imponibili, sia per le società di capitali che per le società di persone.
La misura si applicherà alle distribuzioni deliberate dal 2026, anche se riferite a utili maturati in esercizi precedenti, determinando così una discontinuità normativa che rischia di alterare equilibri societari consolidati e di penalizzare gli assetti più diffusi nel mercato, caratterizzati da partecipazioni minoritarie o di portafoglio.
Inoltre, la modifica rischia di reintrodurre in via strutturale un fenomeno di doppia imposizione economica, nei casi in cui il socio, trovandosi al di sotto della soglia partecipativa richiesta, riceva utili che hanno già scontato una tassazione piena in capo alla società partecipata. Viene meno, dunque, il principio di neutralità che fino ad oggi aveva ispirato la disciplina, sebbene con modalità differenziate a seconda della tipologia di soggetto percettore.
Per queste ragioni, da più parti è stata preannunciata una possibile revisione della norma nel corso dell’iter parlamentare.
Poiché l’obiettivo dovrebbe essere quello di colpire le sole partecipazioni di natura speculativa, un correttivo ragionevole potrebbe prevedere l’integrale imponibilità dei dividendi soltanto nei casi in cui la partecipazione sia contemporaneamente “sottosoglia” e detenuta per un periodo limitato (ad esempio, inferiore a un anno). In tal modo, si colpirebbero le sole partecipazioni di trading, mentre verrebbero salvaguardate le partecipazioni destinate a un investimento durevole, indipendentemente dalla loro entità.
Ulteriore irrigidimento delle compensazioni fiscali e delle plusvalenze
Il DDL di Bilancio prevede, inoltre, una stretta sulla tassazione delle plusvalenze sui beni strumentali e patrimoniali e sui beni costituenti immobilizzazioni finanziarie che non beneficiano della participation exemption.
In particolare, dal periodo d’imposta successivo al 31 dicembre 2025, si prevede una riduzione del numero di rate applicabili – da 5 a 3 esercizi per la generalità delle plusvalenze – e un allungamento del periodo minimo di possesso (da 3 a 5 anni). Inoltre, le immobilizzazioni finanziarie non PEX saranno rateizzabili in tre esercizi, e non più cinque, se vi è l’iscrizione negli ultimi cinque bilanci (e non più tre).
A ciò si aggiunge un ulteriore irrigidimento alle compensazioni dei crediti fiscali. Dal 1° luglio 2026, i crediti – diversi da quelli derivanti dalla liquidazione delle imposte – non potranno più essere compensati con contributi INPS e premi INAIL. Il divieto si applica anche ai crediti d’imposta trasferiti a soggetti diversi dal titolare originario.
Inoltre, si profila l’abbassamento della soglia di compensazione in presenza di ruoli scaduti, dagli attuali 100.000 euro a 50.000 euro. Pertanto, per effetto della modifica, se sono presenti carichi di ruolo complessivamente pari o superiori a 50.000 euro, il contribuente non potrà compensare i propri crediti se prima non assolve l’obbligazione tributaria.
Questi interventi rischiano di compromettere la gestione della liquidità aziendale, introducendo nuovi vincoli proprio in una fase in cui il sistema produttivo avrebbe bisogno di maggiore flessibilità finanziaria.
Plastic Tax e Sugar Tax: un rinvio senza fine
Nel DDL Bilancio si prospetta l’ennesima proroga della Plastic Tax e la Sugar Tax, senza tuttavia prevedere al loro cancellazione definitiva, come auspicato da tempo dal mondo produttivo.
Questa scelta contribuisce a mantenere un quadro di incertezza normativa che pesa sulle imprese, costrette a operare in un clima di costante precarietà, in attesa di continui rinvii. In assenza di una decisione definitiva, tra pochi mesi ci troveremo nuovamente a discutere di un’altra proroga, alimentando ancora una volta instabilità e incertezza per i settori produttivi interessati.
Fiscalità del lavoro: manca l’atteso intervento sulle auto aziendali
Sul versante del lavoro dipendente resta irrisolta la questione della fiscalità delle auto aziendali concesse in uso promiscuo. Dopo le novità della Manovra 2025, introdotte per incentivare veicoli più sostenibili, e la norma transitoria contenuta nel DL Bollette, persistono delle casistiche non ricomprese né nel nuovo regime né in quello previgente.
In tale vuoto normativo, l’Agenzia delle Entrate ha confermato il ricorso al criterio del valore normale, generando un mosaico complicato di situazioni da gestire, disomogeneità tra i dipendenti e maggiori oneri amministrativi per le imprese. Per questo, è auspicabile che la prossima Legge di Bilancio introduca una norma correttiva che riporti tutte le fattispecie nella cornice forfettaria dell’art. 51, comma 4, del TUIR, per garantire uniformità e semplificazione delle regole fiscali.
Premi di produttività: resta il requisito dell’incremento degli obiettivi aziendali
L’imposta sostitutiva sui premi di risultato viene ridotta all’1%, con innalzamento del limite massimo agevolabile a 5.000 euro per il biennio 2026-2027.
Si tratta di un intervento apprezzabile, ma che limita la convenienza della conversione in welfare dei premi monetari e non risolve i nodi strutturali della disciplina.
Rimane, in particolare, il requisito dell’incremento costante dei risultati aziendali, obiettivo sempre più difficile da raggiungere in un contesto di stagnazione produttiva e tensioni geopolitiche.
Il rischio, quindi, è che l’estensione del beneficio resti di fatto sulla carta, con un impatto molto ridotto.
Apprezzabili sono invece le due nuove imposte sostitutive sugli aumenti derivanti dai rinnovi contrattuali e sulle indennità per lavoro notturno, festivo o a turni – anche se destinate ai redditi medio-bassi – e l’estensione della soglia di esenzione dei buoni pasto elettronici a 10 euro giornalieri.
Conclusione: una manovra che non inverte la rotta
Il messaggio che proviene dal sistema industriale è molto chiaro: serve un quadro fiscale stabile, strutturale e orientato alla competitività.
Il DDL di Bilancio 2026, nella configurazione attuale, non riesce a rispondere pienamente a questa esigenza. Le misure appaiono frammentarie, di breve respiro e scollegate dal principio di coerenza e stabilità che la delega fiscale avrebbe dovuto garantire.
La produttività non si rilancia con incentivi a scadenza annuale, con procedure sempre più complesse e con una continua incertezza normativa.
Senza un cambio di passo deciso, altrimenti il rischio è quello di ritrovarci ancora tra dodici mesi a domandarci perché gli obiettivi di crescita e di produttività non sono stati soddisfacenti, quando forse la domanda andrebbe rovesciata: quali strumenti sono stati effettivamente messi in campo per raggiungerli?
C’è ancora spazio per un’inversione di rotta: si auspica che il confronto parlamentare riesca a dare un contributo decisivo al miglioramento di un provvedimento che, finora, ha deluso le aspettative del mondo produttivo.


