Controlled Foreign Companies: ciò che rileva è il momento di acquisizione della partecipazione
di Marco BargagliLa peculiare disciplina conosciuta tra gli addetti ai lavori come CFC (controlled foreing companies), prevista dall’art. 167, TUIR, è stata introdotta nel nostro ordinamento giuridico con il precipuo scopo di assoggettare a tassazione i redditi prodotti oltre frontiera da parte delle società estere controllate che:
- usufruiscono, nello Stato di insediamento, di un regime fiscale agevolato;
- iscrivono in bilancio particolari categorie di redditi (c.d. passive income), presentandosi come strutture di puro artificio senza svolgere, in realtà, una reale attività economica.
Per tale motivo, al ricorrere delle condizioni previste dall’art. 167, TUIR, la tassazione per trasparenza grava in capo al soggetto controllante italiano, in proporzione alla quota di partecipazione agli utili e in modo separato, indipendentemente dall’effettiva percezione degli stessi utili sotto forma di dividendi.
Giova evidenziare che, con il D.Lgs. n. 209/2023, sono entrate in vigore le nuove regole previste in tema di CFC legislation, con nuovi criteri per il calcolo della tassazione effettiva e, in subordine, anche la possibilità di applicare un’imposta sostitutiva del 15%.
Nello specifico, dopo le modifiche apportate dal citato D.Lgs. n. 209/2023, operative dal 29 dicembre 2023, per applicare la CFC occorre che si realizzi una duplice condizione pregiudiziale di accesso prevista dall’art. 167, comma 4, TUIR, valutata con riferimento ai soggetti controllati esteri se gli stessi:
lettera a): sono assoggettati a tassazione effettiva inferiore al 15%;
lettera b): oltre un terzo dei proventi realizzati all’estero deve rientrare nella categoria dei c. passive income, ovvero in una o più delle seguenti categorie:
- interessi attivi o altri proventi finanziari;
- canoni (royalties) o altri redditi derivanti dall’utilizzo di diritti di proprietà intellettuale (es. marchi, brevetti e altri diritti immateriali);
- dividendi e redditi derivanti dalla cessione di partecipazioni (capital gain);
- proventi derivanti da leasing finanziario;
- redditi da attività assicurativa, bancaria e finanziaria;
- proventi derivanti da operazioni di compravendita di beni, con valore economico aggiunto scarso o nullo, effettuate tra imprese del Gruppo;
- proventi derivanti da prestazioni di servizi infragruppo con valore economico aggiunto scarso o nullo.
Sotto il profilo soggettivo, la normativa de qua si applica:
- alle persone fisiche, alle società semplici, alle società in nome collettivo e in accomandita semplice, alle associazioni, alle società di armamento e alle società di fatto residenti in Italia;
- ai soggetti residenti in Italia indicati nell’ 73, comma 1, lett. a), b) e c), TUIR, nonché, relativamente alle loro stabili organizzazioni italiane, ai soggetti di cui all’art. 73, comma 1, lett. d), TUIR, che controllano soggetti non residenti.
Avuto riguardo, invece, al requisito del controllo, ai sensi dell’art. 167, comma 2, TUIR, si identificano come soggetti controllati non residenti le imprese, le società e gli enti non residenti nel territorio dello Stato, per i quali si verifica almeno una delle seguenti condizioni:
- sono controllati direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciaria o interposta persona, ai sensi dell’ 2359, c.c., da parte di un soggetto residente in Italia;
- oltre il 50% della partecipazione ai loro utili è detenuto, direttamente o indirettamente, mediante una o più società controllate ai sensi dell’ 2359, c.c., o tramite società fiduciaria o interposta persona, da un soggetto residente in Italia.
In materia di CFC legislation, si è recentemente espressa la suprema Corte di Cassazione, Sezione V civile, con la sentenza n. 18025/2025 del 3 luglio 2025, ove è stato confermato che il presupposto per l’applicazione dell’art. 167, TUIR, è il trasferimento all’estero di redditi di fonte domestica, ossia prodotti in Italia, verso Stati o territori paradisiaci che usufruiscono di un regime fiscale privilegiato.
La società ricorrente ha preliminarmente sottolineato che la ratio della normativa CFC consiste nel contrasto all’abuso dello strumento societario in ambito internazionale, mediante il ricorso a società controllate di natura fittizia o a costruzioni di puro artificio.
La normativa in rassegna detta il principio di imputazione dei redditi della controllata, residente in uno Stato a fiscalità privilegiata, nei confronti del soggetto controllante residente in Italia, al fine di contrastare i fenomeni di delocalizzazione all’estero di imprese nazionali.
In buona sostanza, a parere degli Ermellini, la principale finalità della normativa antielusiva di cui trattasi (c.d. Controlled Foreign Companies), è quella di contrastare i fenomeni di delocalizzazione all’estero delle imprese nazionali assumendosi, sostanzialmente, che gli utili prodotti da parte di società non residenti, localizzate in Stati o territori aventi fiscalità “privilegiata”, vengano poi imputati al soggetto controllante italiano, come se la società fosse una società di persone “trasparente” (ex multis Cass. n. 36050/2022).
Come già precisato in sede di legittimità (Cass. n. 8715/2020), la norma prevede un regime di tassazione per “trasparenza” dei redditi localizzati, con imponibilità ai soggetti residenti in Italia degli utili prodotti dalle società controllate estere, localizzate in Paesi a regime fiscale privilegiato o a ridotta tassazione, indipendentemente dall’effettiva distribuzione degli utili sotto forma di dividendi.
In assenza di questa disposizione, gli utili potevano essere tassati in Italia solo dopo che erano stati effettivamente distribuiti sotto forma di dividendi, ma ciò dipendeva unicamente dalla scelta della società controllata estera.
Pertanto, come sottolineano i Supremi giudici di legittimità, il socio controllante, seppure effettivo dominus dell’attività svolta dal soggetto estero, beneficiava di una “traslazione” della tassazione sui dividendi a tempo indeterminato, «ove la società estera si fosse astenuta dal distribuirli, quindi sine die (tax deferral).
Proprio per impedire tali condotte, si è stabilito che gli utili conseguiti dal soggetto estero siano prodotti dal socio residente, in analogia a quanto avviene per le società di persone, per le quali vige il regime della trasparenza ai sensi, però, dell’art. 5 del D.P.R. 917/1986».
I redditi della partecipata estera sono, quindi, tassati per la trasparenza in capo al socio residente, in proporzione alla partecipazione da esso detenuta; pertanto, anziché essere tassati in Italia nel momento in cui confluiscono nel reddito del soggetto controllante in qualità di dividendi effettivamente distribuiti, i redditi della CFC vengono imputati al socio residente nel momento in cui sono conseguiti (conformemente cfr. circolare n. 43/E/2009 dell’Agenzia delle Entrate).
Il regime CFC è simile, dunque, a quello del consolidato mondiale, perché comporta l’imputazione per trasparenza di redditi prodotti all’estero a un contribuente residente in Italia; tuttavia, mentre il consolidato mondiale è un regime opzionale, il regime CFC ha una funzione marcatamente antielusiva e, pertanto, è un regime “obbligatorio”.
La Corte di Cassazione rileva che «anche nelle società di persone, la c.d. imputazione per trasparenza del reddito societario opera solo con riferimento a colui che è socio al momento dell’approvazione del rendiconto – e non già al socio uscente ed a quello subentrante attraverso una ripartizione proporzionale in funzione del rispettivo periodo di partecipazione alla società – dovendosi, infatti, tenere presente che una siffatta semplicistica ripartizione non corrisponde necessariamente alla produzione del reddito sociale nei vari periodi e che, secondo i principi civilistici (cui la disciplina tributaria coerentemente si uniforma), il diritto agli utili nelle società di persone matura solo con l’approvazione del rendiconto” (Cass. 31/10/2018, n. 27830)».
Simmetricamente, in tema di redditi di società di capitali, l’imputazione degli utili va effettuata in capo a coloro che rivestono la qualità di socio al 31 dicembre del periodo di imposta accertato, momento nel quale il risultato economico è conosciuto dai soci ed è possibile quantificare l’entità degli utili (Cass. n. 21487/2022).
In estrema sintesi, la funzione dell’art. 167, TUIR, è ancorata al conseguimento del reddito della partecipata; la norma, in altri termini, presuppone che in quel momento sussistesse la partecipazione della società residente.
Ciò posto, a parere della Suprema Corte, il giudice del gravame non ha fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati, avendo ritenuto legittimo l’operato dell’ufficio stante l’irrilevanza della formazione del reddito all’estero in epoca antecedente all’acquisizione della partecipazione, da parte della ricorrente, nella società estera.


