5 Maggio 2025

Carbon Foot Print di organizzazione, un importante KPI della sostenibilità

di Greta Popolizio
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La scheda di FISCOPRATICO

L’inventario dei gas a effetto serra (GHG, Greenhouse Gas), altrimenti detto Carbon Foot Print, rappresenta uno degli strumenti più strategici e imprescindibili all’interno dei moderni report di sostenibilità aziendale. In un contesto globale sempre più orientato alla trasparenza ed alla responsabilità ambientale, la rendicontazione delle emissioni GHG è diventata non solo una best practice, ma un importante elemento sui cui si basa la valutazione delle performance aziendali in tema di mitigazione dei cambiamenti climatici.

Come sappiamo il cambiamento climatico, che sta alla base di numerosi impatti negativi sull’ambiente, sulle persone e sull’economia in generale, è principalmente causato dalle immissioni in atmosfera dei c.d. gas climalteranti, i quali a loro volta sono generati dall’utilizzo di combustibili di origine fossile nelle attività umane.

La carbon footprint di organizzazione è la misura totale delle emissioni di gas ad effetto serra (GHG) generate direttamente e indirettamente da tutte le attività di un’organizzazione, tipicamente calcolata su base annuale e espressa in tonnellate di CO₂  equivalente.

Questo indicatore si compone principalmente di 3 fattori, o categorie emissive:

  1. emissioni dirette (cd. Scope 1): prodotte da fonti possedute o controllate dall’organizzazione, come impianti di produzione, flotte di automezzi aziendali, caldaie, ecc.;
  2. emissioni indirette da energia (cd. Scope 2): derivanti dal consumo di combustibili fossili utilizzati per produrre l’energia elettrica, o il calore o il vapore acquistati e consumati dall’organizzazione. Se l’azienda acquistasse energia elettrica derivante unicamente da fonte rinnovabile, questa categoria emissiva sarebbe pari a zero;
  3. emissioni indirette lungo la catena del valore (Scope 3): derivano da attività a monte e a valle dell’azienda lungo la sua catena del valore, come acquisti di materie prime, viaggi di lavoro, trasporti, gestione dei rifiuti, utilizzo e fine vita dei prodotti, anche se queste fonti non sono sotto il diretto controllo aziendale. In questa categoria rientra, quindi, la quantità di emissioni prodotte dal produttore delle merci/prodotti acquistati dall’azienda, dal vettore che li ha trasportati in ingresso nella sfera aziendale, come pure quelle generate dai clienti nell’utilizzo dei prodotti che l’impresa vende, dati trasporti in uscita

È evidente che quest’ultima categoria, facendo riferimento a dati non direttamente in possesso dell’organizzazione, poggia sull’utilizzo di stime settoriali e di tabelle standardizzate ed è piuttosto complessa da determinare. In prospettiva, una sempre maggiore diffusione dei dati relativi alle emissioni legati al processo di produzione di un determinato prodotto (c.d. LCA, Life Cycle Assessment) consentirà livelli di precisione sempre maggiori.

Per questo motivo è al momento considerato spesso sufficientemente indicativo il calcolo delle sole emissioni Scope 1 e Scope 2, tralasciando il conteggio delle emissioni indirette Scope 3.

Così, ad esempio, questo indicatore viene inserito tra i dati imprescindibilmente richiesti dalle banche al fine di valutare il rating ESG delle aziende, anche micro; ed è anche considerato un KPI di primaria importanza nei principi di rendicontazione di sostenibilità, sia obbligatori (ESRS) che volontari (VSME).

Per giungere a determinare la Carbon Foot Print di organizzazione si passa attraverso le seguenti fasi operative:

  • definizione dei confini organizzativi e operativi: si stabilisce quali entità, stabilimenti e attività includere;
  • raccolta dei dati: si identificano le fonti di emissione e si raccolgono i dati di attività (consumi energetici, carburanti utilizzati dalla flotta aziendale, ecc.);
  • calcolo delle emissioni: si applicano i fattori di emissione appropriati per convertire i dati di attività in emissioni di CO₂ equivalente (CO₂e).

Una volta determinato l’inventario emissivo dell’azienda è possibile, nell’ottica di un percorso di miglioramento, impostare un piano di mitigazione degli impatti sul cambiamento climatico, basato su diverse possibili leve di decarbonizzazione.

L’inventario GHG è molto più di un semplice esercizio di rendicontazione: rappresenta la base su cui costruire strategie di sostenibilità efficaci, misurabili e credibili. La sua integrazione nei report di sostenibilità è ormai imprescindibile per qualsiasi organizzazione che voglia essere protagonista nella transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio, rispondendo alle aspettative di mercato e dei suoi stakeholder.