Attività secondarie e strumentali nello sport: decreto cercasi…
di Luca CaramaschiUna delle disposizioni previste nel principale decreto delegato di Riforma dello Sport, il D.Lgs. 36/2021, e non ancora pienamente attuata, è quella contenuta nell’articolo 9, che riguarda le attività secondarie e strumentali esercitabili da un sodalizio sportivo dilettantistico. In particolare, nel definire i caratteri quantitativi (secondarietà) e qualitativi (strumentalità) di queste “attività diverse da quelle principali di cui all’articolo 7, comma 1, lettera b)”, il Legislatore richiama al comma 1, del citato articolo 9, dei criteri e dei limiti che dovranno essere definiti da un decreto che, ad oggi, risulta inspiegabilmente non ancora emanato.
Si tratta di una mancanza decisamente grave se si pensa che, in prospettiva, il mancato rispetto di questi criteri (ancorché per due esercizi consecutivi) determinerà la cancellazione d’ufficio dal Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche, con conseguente perdita della qualifica sportiva dilettantistica, e con essa, di tutte le agevolazioni tributarie e non ad essa applicabili. Tuttavia, al di là dei parametri che ne dovranno definire l’esercitabilità da parte di un sodalizio sportivo dilettantistico, ciò che è ancora più grave è la carenza di una definizione certa ed esaustiva di attività “secondarie e strumentali” diverse, quindi, da quelle che debbono considerarsi “principali” ed il cui esercizio in via stabile e principale connota la natura dell’organizzazione sportiva dilettantistica, ovvero l’“organizzazione e gestione di attività sportive dilettantistiche, ivi comprese la formazione, la didattica, la preparazione e l’assistenza all’attività sportiva dilettantistica”.
Un tentativo in tal senso, ma con tutt’altro obiettivo (ovvero quello di escludere determinati proventi dal computo dei criteri e dei limiti da definire con il decreto ad oggi non ancora emanato), è stato operato dal legislatore con l’introduzione di un nuovo comma 1-bis, all’articolo 9, che qualifica come derivanti da attività secondarie e strumentali i proventi derivanti da rapporti di sponsorizzazione, i proventi promo pubblicitari, i proventi derivanti dalla cessione di diritti, le indennità legate alla formazione degli atleti e, infine, i proventi derivanti dalla gestione di impianti e strutture sportive. Se su queste ipotesi “tipiche” di proventi, la cui entità non impedirà al sodalizio di mantenere la qualifica sportiva dilettantistica, alcuni dubbi interpretativi sussistono, soprattutto con riferimento alla voce “proventi derivanti dalla gestione di impianti e strutture sportive”. Se sono certamente tali i proventi derivanti dall’affitto dell’impianto ad altre associazioni sportive e non, occorre chiedersi se siano da considerarsi tali anche l’affitto dello spazio in corsia dell’impianto natatorio o l’ora di tennis affittata a terzi che avvengono al di fuori di un contesto di attività sportiva, didattica o formativa riconosciuta dall’organismo affiliante. Qual è, quindi, il confine tra l’attività di “gestione di impianti e strutture sportive” (considerata secondaria e strumentale) e quella di “organizzazione e gestione di attività sportive dilettantistiche …” (considerata principale)? Se pensiamo che un sodalizio sportivo dilettantistico possa anche semplicemente affittare l’impianto ad un soggetto “che fa sport”, nella definizione di sport ricompresa nella formulazione della lettera nn) dell’articolo 2, D.Lgs. 36/2021, come possiamo qualificare tale attività? Nelle ipotesi citate, se fosse confermata la natura di provento derivante da attività “diversa”, a seguito della introduzione del citato comma 1-bis, il problema non sarebbe più quello di verificare l’entità di questi proventi ma, in assenza di un’attività principale esercitata in via stabile e principale, si correrebbe il rischio di non poter più qualificare come sportivo dilettantistico il sodalizio. Altro tema, non meno importante, è comprendere il significato da attribuire al concetto di “strumentalità” che dovrà essere declinato nell’emanando decreto previsto dal citato articolo 9, D.Lgs. 36/2021.
Cosa si dovrà intendere, quindi, per attività “strumentale” e quali saranno, pertanto, i proventi che potranno derivare da una siffatta attività? Volendo trovare una definizione pertinente, è possibile fare riferimento all’articolo 2, D.M. 107/2021, di attuazione della previsione contenuta nell’articolo 6, del Codice del Terzo Settore (il D.Lgs. 117/2017), che definisce le “attività diverse” in contrapposizione alle attività di interesse generale; nozione che potremmo definire “sorella” di quella contenuta nell’articolo 9, D.Lgs. 36/2021. Nella richiamata disposizione, rubricata “Natura strumentale delle attività diverse”, si afferma che “Le attività diverse di cui all’articolo 6 del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117 si considerano strumentali rispetto alle attività di interesse generale se, indipendentemente dal loro oggetto, sono esercitate dall’ente del Terzo settore, per la realizzazione, in via esclusiva, delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale perseguite dall’ente medesimo”. Con riferimento a tale ultima definizione, pur in assenza di una interpretazione ufficiale, si deve ritenere che il decreto non escluda, in linea di principio, nessuna attività “diversa” dal novero di quelle ammissibili, né richieda una connessione oggettiva tra l’attività diversa e l’attività di interesse generale. La strumentalità richiamata dal citato decreto, quindi, non riguarda l’oggetto dell’attività “diversa”, ma soltanto il suo fine. Come osservato in dottrina, Il requisito della strumentalità viene così di fatto “neutralizzato” dal decreto in commento, con il risultato che tutte le attività “diverse” debbono necessariamente per qualificarsi come “strumentali”.
Considerando esclusivamente il profilo della strumentalità, potrebbe, ad esempio, un ente di terzo settore attivo in campo socio-sanitario, esercitare quale attività “diversa” una attività di ristorazione, oppure un ente filantropico esercitare quale attività “diversa” una attività di trasporto, e così via. Se avessimo rapidamente conferma che anche questa sarà la linea adottata dal legislatore dello Sport nel decreto di futura emanazione, potremo tutti tirare un sospiro di sollievo e preoccuparci solo del tema della qualificazione “fiscale” dei proventi derivanti dalle attività secondarie e strumentali e non anche del fatto che un sodalizio sportivo dilettantistico possa o non possa esercitare l’una o l’altra attività per poter rimanere tale. È bene ricordare, infatti, che la qualificazione di un’attività nel novero di quelle secondarie e strumentali previste dall’articolo 9 non esime l’interprete dal valutarne, comunque, le caratteristiche ai fini del loro corretto trattamento fiscale. Se, quindi, un’attività secondaria e strumentale qualificata come connessa alle finalità istituzionali, potrà essere decommercializzata, ai sensi dell’articolo 148, comma 3, TUIR, laddove rivolta agli associati e/o tesserati, nel caso fosse rivolta a terzi potrà per contro essere gestita con il regime forfettario di cui alla L. 398/1991, piuttosto che in regime ordinario in assenza delle caratteristiche previste per l’accesso a detto regime agevolato. Così come per quelle attività secondarie e strumentali, ma che non presentano un carattere di connessione con le finalità istituzionali si dovrà fare necessariamente ricorso ai regimi ordinari di tassazione. E tutto ciò, tralasciando le importanti novità che travolgeranno il comparto Iva sia per lo sport che per il terzo settore a far data dal prossimo 1° gennaio 2026. Bastano credo queste brevi considerazioni per capire come l’emanazione del richiamato decreto previsto dall’articolo 9, D.Lgs. 36/2021 sia un’urgenza divenuta oltremodo indifferibile.
