Attività edilizia dei privati riqualificata in attività commerciale: superbonus a rischio recupero
di Silvio RivettiL’Amministrazione finanziaria è titolata a riqualificare l’attività edilizia dei privati come attività commerciale, ricorrendone dati presupposti. In tema, può essere utile ricordare come, ai sensi dell’art. 55, TUIR, la definizione fiscalmente rilevante dell’esercizio d’impresa commerciale consista in una rielaborazione, in chiave più ampia, della nozione civilistica dell’attività commerciale, di cui all’art. 2195, c.c.. Se per la norma codicistica, infatti, hanno natura commerciale le attività industriali dirette alla produzione di beni o servizi, quelle intermediarie nella circolazione dei beni, quelle di trasporto, quelle bancaria e assicurativa, nonché le attività ausiliarie delle precedenti, purché tutte “organizzate” al fine di produrre o scambiare beni e servizi, ai sensi dell’art. 2082, c.c., dal punto di vista fiscale è, invece, considerata imprenditoriale e, pertanto, produttiva di reddito d’impresa in ogni caso, a prescindere dal requisito dell’organizzazione, qualunque attività avente oggettiva natura commerciale (rilevando il profilo dell’organizzazione, ai fini di tassazione, nelle sole attività a rigore non civilisticamente commerciali: ossia le prestazioni di servizi a terzi non rientranti nell’art. 2195, c.c., che subiscono la tassazione a reddito d’impresa proprio se organizzate, appunto, in forma d’impresa).
In questo quadro normativo, a dir poco ampio, per cui è la natura commerciale dell’attività in concreto svolta a generare reddito d’impresa e ad attribuire lo status di imprenditore in capo al suo autore (a prescindere dal tema organizzativo o dalla forma soggettiva, individuale o sociale, dell’imprenditore medesimo), purché la detta attività sia caratterizzata da stabilità e ripetitività, anche se svolta in contemporanea con altre (secondo i concetti di “professionalità abituale, ancorché non esclusiva” di cui all’art. 55, TUIR), la prassi dell’Amministrazione finanziaria è da sempre incline ad attrarre nel novero delle attività imprenditoriali anche le attività delle persone fisiche private, se poste in essere mediante una “pluralità di atti economici”, coordinati e finalizzati, per effetto di profili di “regolarità, sistematicità e ripetitività”, al conseguimento di scopi a valenza economica (vedasi, sul tema, la risalente circolare ministeriale n. 550326/1988).
In tale prospettiva, non vi è chi non veda come le più tipiche attività nell’edilizia, come l’acquisto dei terreni, la costruzione, la ristrutturazione degli immobili a disposizione, ovvero acquistati ad hoc, anche mediante appalto dei lavori a terzi e con intestazione dei provvedimenti autorizzativi necessari, a cui segue la vendita delle unità immobiliari realizzate, presentino per loro natura proprio quelle caratteristiche, pressoché inevitabili, di scomponibilità in più operazioni coordinate e sistematiche, che divengono “imprenditoriali” se volte finalmente a ottenere un lucro, per quanto realizzate da soggetti privati su propri beni patrimoniali. Se poi si considera che, quanto ai privati, per costante giurisprudenza pure il compimento di un singolo affare o una singola operazione economica possono essere considerati produttivi di reddito d’impresa (qualora frutto di più azioni coordinate: cfr. Cass. n. 36992/2022); e persino il mero impiego di mezzi finanziari, mediante l’uso e il coordinamento di propri capitali a fini produttivi, giustifica la qualifica di imprenditore (cfr., risalente e mai superata, Cass. n. 5589/1983), tanto spiega perché l’Agenzia delle Entrate, mediante plurimi atti di prassi – vedasi per esempio la risoluzione n. 204/E/2002 e le risposte a interpello n. 426/E/2019 e n. 152/E/2020 – abbia ritenuto di poter inquadrare come imprenditoriale l’attività in ambito immobiliare di semplici soggetti privati.
Gli argomenti sin qui illustrati meritano di essere letti non solo in relazione ai temi di ricostruzione dei maggiori imponibili, in applicazione delle regole del reddito d’impresa (ricalcolo dei ricavi, valorizzazione dei costi, applicazione dell’IVA, ecc…), ma anche in relazione al disconoscimento in capo ai contribuenti asseriti imprenditori delle detrazioni spettanti solo all’ambito privatistico – superbonus ex art. 119, D.L. n. 34/2020, in primis, ma anche recupero del patrimonio edilizio esistente ex art. 16-bis, TUIR – con riguardo a tutte quelle operazioni di riqualificazione immobiliare poste in essere da persone fisiche private e concernenti immobili facenti parte del proprio patrimonio personale, che si sono concluse magari con la vendita, sul mercato, di unità financo ottenute in aggiunta rispetto a quelle originariamente presenti negli edifici; e comunque di pregio maggiore rispetto a quello ante lavori. Considerando il tenore della circolare n. 24/E/2020, che fin dal varo della superbonus aveva precisato che la sua fruizione doveva dirsi limitato ai soli beni immobili afferenti al mondo residenziale privato, e quindi a unità immobiliari non riconducibili ai beni relativi all’impresa ex art. 65, TUIR, s’intuisce la potenziale facilità con cui gli uffici finanziari potrebbero oggi approfondire l’analisi di determinate operazioni “complesse” realizzate da persone fisiche, disconoscendone la connotazione privatistica e recuperando a tassazione le detrazioni superbonus o al 50% godute, anche in modalità di cessione del credito, ovvero di sconto in fattura ex art. 121, D.L. n. 34/2020, da parte dei soggetti ridetti imprenditori.
Ricostruzioni di questo genere da parte degli uffici rischiano, se ben supportate sul piano motivazionale e dell’analisi concreta dei fatti, di condurre i contribuenti a confrontarsi con scenari particolarmente critici, perché se è vero da un lato che l’imprenditorialità dell’agire si può scorgere solo in presenza di operazioni articolate e coordinate, obiettivamente orientate verso meri fini di lucro, è pur vero dall’altro che tipicamente le operazioni eleggibili al superbonus si caratterizzano proprio per la significativa complessità degli adempimenti e delle attività connesse, da svolgersi in maniera coordinata; e che non sono poche le iniziative di riqualificazione immobiliare che hanno visto lo sbocco facilitato, sul mercato, delle unità rese appetibili in quanto efficientate. Nondimeno, è da dire che gli argomenti sopra indicati potrebbero riguardare, più facilmente, alcune operazioni di riqualificazione immobiliare di peculiare valore, poste in essere da parte di proprietari unici di edifici plurifamiliari; e meno facilmente le iniziative condominiali, ove le decisioni assembleari volte alla migliore gestione delle parti comuni degli edifici paiono di ben più difficile aggressione da parte degli uffici, non potendo dirsi univocamente volte a perseguire scopi di lucro; e dove i condòmini, quand’anche riqualificati imprenditori e titolari di reddito d’impresa, rientrano comunque tra i beneficiari del superbonus, quanto alle spese sostenute per i lavori trainanti e trainati per l’efficientamento delle parti comuni degli edifici prevalentemente residenziali ove gli immobili da essi posseduti o detenuti sono siti, essendo irrilevante ai fini agevolativi la circostanza che detti immobili ricadano in un presunto contesto d’impresa.


