5 Ottobre 2016

Il lavoro sportivo dilettantistico: una storia senza fine

di Guido Martinelli
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Due recenti sentenze, di segno contrario l’una all’altra, ripropongono in maniera oserei dire “drammatica” la necessità di porre un punto fermo alla disciplina del “lavoro sportivo dilettantistico”.

Con questo termine ci riferiamo a quei soggetti che prestano la loro opera, in via principale anche se non esclusiva, in settori sportivi non professionistici e che da questa attività riscuotono la parte principale dei loro proventi. Il problema è presto sintetizzato. Il legislatore tributario ha inquadrato tra i redditi diversi il ricavo da tali attività. Ma questo inquadramento fiscale produce, come conseguenza diretta, che su tale emolumento non siano applicabili ritenute previdenziali e assistenziali, previste solo per i redditi da lavoro.

La prima decisione in commento è la sentenza n. 2118 del 11.05.2016 emessa dalla sezione lavoro della Corte d’Appello di Roma. Il fatto è quello comune alle altre decisioni in questa materia. Accertamento Inps verso una associazione sportiva che gestiva un centro di fitness a seguito del quale venivano recuperati i contributi dovuti alla gestione ex Enpals per sette istruttori, ai quali fino a quel momento erano stati riconosciuti i compensi sportivi di cui all’articolo 67, comma 1, lettera m), del Tuir e, come meglio sopra precisato, in quanto tali non soggetti a contribuzione previdenziale.

Facendo riferimento al decreto ministeriale 15.03.2005 che ha adeguato le categorie dei lavoratori assicurati obbligatoriamente presso l’Enpals e, più in particolare, al punto 20 che prevede “impiegati, operai, istruttori e addetti agli impianti e ai circoli sportivi di qualsiasi genere, palestre …..”, il giudicante di appello afferma: “dal semplice tenore letterale della espressione normativa di cui al n. 20 emerge l’obbligo contributivo a carico dell’appellante nei riguardi degli istruttori di attività sportive a prescindere dalla natura giuridica (subordinata, parasubordinata o autonoma) del rapporto di lavoro ed essendosi peraltro la stessa appellante qualificata associazione sportiva”.

La Corte non ritiene, inoltre, comunque applicabile la disciplina fiscale (e la conseguente non debenza previdenziale) dei compensi sportivi in quanto sussisterebbe a carico dei lavoratori sia il requisito della professionalità che della: “abitualità anche se non esclusività della loro prestazione”.

Non si può fare a meno di rilevare come, invece, la sezione lavoro della Corte d’Appello di Bologna, poche settimane dopo (sentenza n. 250 del 07.06.2016) arriva ad una conclusione diametralmente opposta.

Medesima fattispecie concreta. In questo caso, dopo aver analizzato la disciplina fiscale e l’evoluzione legislativa della figura in esame, ritenuta la natura di società sportiva dilettantistica del soggetto presunto datore di lavoro e la riconducibilità della prestazione resa dagli istruttori all’esercizio diretto di attività sportiva dilettantistica, per come interpretato autenticamente dal legislatore con l’articolo 35, comma 5, del D.L. 207/2008 convertito con la L. 14/2009, la sentenza stabilisce che “il legislatore ha così chiarito che anche i compensi per le attività di formazione, istruzione, ed assistenza ad attività sportiva beneficiano dell’esenzione fiscale contributiva dovendosi intendere per attività sportiva dilettantistica il mero far fare sport senza che sussista un evento ulteriore a cui finalizzare tale attività” e così conclude riformando la sentenza di primo grado che aveva invece accolto la tesi dell’istituto previdenziale: “non sono condivisibili le conclusioni a cui è pervenuto il giudice di primo grado nel delineare un nesso tra la natura del rapporto di lavoro e la qualifica di esercente attività sportiva dilettantistica che ben può caratterizzare qualsiasi rapporto di lavoro rendendo pertanto fruibili i relativi sgravi fiscali e contributivi a prescindere dalla natura autonoma o subordinata dello stesso”.

Il foro bolognese mantiene il suo atteggiamento di favore anche con la decisione della sezione lavoro del Tribunale (sentenza n. 558 del 23.09.2016), sempre sui medesimi presupposti di fatto: “… tutte le collaborazioni svolte nell’ambito sportivo dilettantistico seguono il regime agevolato a prescindere dall’abitualità e dalla continuità della prestazione … con la conseguenza che non essendo il compenso imponibile non potranno su di esso calcolarsi neppure oneri previdenziali …”.

Facile rilevare come ci si trovi di fronte a due opposte chiavi di lettura della medesima disciplina. Un rilievo conclusivo evidenzia come nessuno dei collegi chiamati a decidere su detta materia abbia preso in esame il dettato di cui all’articolo 38 della nostra Costituzione:

“2. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.

….

  1. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato”.

Un intervento del legislatore o una definitiva presa di posizione della Cassazione, in un senso o nell’altro, si impone.

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