19 Febbraio 2018

Violazioni in materia di reverse charge: il comma 9-bis.3 – V° parte

di EVOLUTION
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Come per tutti i principali articoli del D.Lgs. 471/1997 (di seguito anche “decreto”), l’articolo 15 del D.Lgs. 158/2015 ha modificato, sempre con effetto 1/01/2016, anche l’articolo 6, recante la disciplina della “violazione degli obblighi relativi alla documentazione, registrazione ed individuazione delle operazioni soggette all’imposta sul valore aggiunto”.
Al fine di approfondire i diversi aspetti della materia, è stata pubblicata in EVOLUTION, nella sezione “Sanzioni”, una apposita Scheda di studio.
Il presente contributo si occupa del trattamento sanzionatorio applicabile in caso di applicazione errata del reverse charge ad operazioni non soggette e inesistenti.

Il comma 9-bis.3 dell’articolo 6 del D.Lgs. 471/1997 – quarto e ultimo comma dedicato alle violazioni in materia di reverse charge – introduce un’ipotesi di grandissimo impatto con riguardo alla seconda parte della norma, che tratta espressamente la disciplina sanzionatoria delle operazioni inesistenti assoggettate ad inversione contabile.

La prima parte del comma in rassegna, invece, come rilevato dalla circolare AdE 16/E/2017 (paragrafo 5), introduce una particolare disciplina, più a carattere procedurale che sanzionatorio, per i casi in cui vengano assoggettate a inversione contabile, con applicazione dell’imposta, delle operazioni che in realtà sono esenti, non imponibili o, comunque, non soggette.

In tal caso viene previsto che l’Ufficio accertatore espunga sia la posta a debito che quella a credito computate all’interno delle liquidazioni, ripristinando così la situazione corretta.

La norma non prevede nessuna sanzione specifica per tale irregolarità, ma precisa che rimane in ogni caso fermo il diritto del cessionario/committente di recuperare l’Iva eventualmente non detratta (tipicamente per effetto del pro rata, in astratto anche a causa di indetraibilità oggettiva) tramite variazione in diminuzione ai sensi dell’articolo 26, comma 3, del D.P.R. 633/1972, ossia mediante emissione di una nota di accredito (nei confronti di se stesso, avente quindi solo un’utilità contabile) entro un anno dalla data di effettuazione dell’operazione, oppure tramite istanza di rimborso cd. “anomala” di cui all’articolo 21, comma 2, del D.Lgs. 546/1992, per la quale è previsto il più ampio termine di due anni dall’annotazione della fattura.

Si tratta peraltro di situazioni difficilmente riscontrabili in concreto. Per completezza si osserva come nessuno dei commi disciplinanti le violazioni in esame considerino espressamente l’ipotesi opposta a quella in commento, vale a dire quella in cui il contribuente effettui l’inversione contabile indicando, in luogo dell’imposta da liquidare, un titolo di non imponibilità o di non applicazione del tributo errato. Pur con un margine di incertezza, in quanto si potrebbe invocare il principio nulla poena sine lege, si ritiene che tale evenienza rientri nella casistica generale di cui al comma 9-bis e comporti quindi l’applicabilità della sanzione fissa da 500 a 20.000 euro.

Ben più interessante è invece, come anticipato, il secondo periodo del comma 9-bis.3, che testualmente recita: “La disposizione si applica anche nei casi di operazioni inesistenti, ma trova in tal caso applicazione la sanzione amministrativa compresa tra il cinque e il dieci per cento dell’imponibile, con un minimo di 1.000 euro”.

In ordine alla natura delle operazioni, si esprime l’avviso che la norma trovi applicazione, oltre che nell’ipotesi principale di inesistenza oggettiva, anche nell’ipotesi di inesistenza soggettiva, per la quale rimane comunque impregiudicata la facoltà del cessionario/committente che ha ricevuto la fattura da un soggetto diverso da quello che ha posto in essere l’operazione, di regolarizzare la violazione ai sensi del comma 9-bis, quarto periodo (sempre nella misura ricompresa tra il 5% e il 10%, cfr. circolare AdE 16/E/2017 paragrafo 5-b).

Questa importantissima novità legislativa, che, come puntualizzato dall’Amministrazione finanziaria (cir. cit.), “si applica, nel rispetto del principio del favor rei, anche alle violazioni commesse prima del 1° gennaio 2016, i cui atti di recupero non si sono ancora resi definitivi”, sta venendo invece ignorata da parte della Corte di Cassazione.

Con l’ordinanza 12649/2017, ad esempio, sono stati nuovamente estesi i principi comunitari in tema di detrazione sanciti dalla Corte di Giustizia all’ipotesi dell’inversione contabile, giungendo alla conclusione che l’imposta detratta per effetto del reverse charge avente ad oggetto acquisti intracomunitari (soggettivamente) inesistenti sia indetraibile, con tutte le conseguenze del caso in termini sanzionatori. Nemmeno un cenno alla nuova norma sanzionatoria.

In precedenza, con riguardo ad un caso di reverse charge applicato su operazioni domestiche soggettivamente inesistenti (compravendita di rottami), la Corte (sentenza 16679/2016), nel ribadire l’indetraibilità dell’imposta, è inoltre intervenuta sull’applicabilità alla fattispecie de qua dello jus superveniens, rappresentato, per l’appunto, dal secondo periodo del comma in esame.

Nonostante la relazione illustrativa al decreto 158/2015 precisi, in ordine all’operatività del secondo periodo del  comma 9-bis.3 in rapporto al primo, che “la medesima procedura si applica anche per le operazioni inesistenti, con effetti sostanzialmente neutri, salvo in questo caso l’applicazione della sanzione dal 5 al 10 per cento dell’imponibile”, i Giudici di legittimità escludono l’applicabilità della nuova norma in relazione alla fattispecie ivi giudicata.

La Corte motiva detta esclusione nei seguenti termini: “Dunque, i più favorevoli trattamenti fiscali e sanzionatori introdotti dal comma 9 bis, n. 3, non trovano applicazione nel caso di operazioni imponibili soggettivamente inesistenti, ancorché regolate in regime domestico d’inversione contabile. La diversa conclusione, che potrebbe essere desunta dal non chiaro tenore della relazione illustrativa laddove si parla di ‘procedura’, non rileva poiché ogni testo normativo deve essere interpretato secondo il suo contenuto obiettivo, mentre i lavori preparatori non costituiscono elemento decisivo per la sua interpretazione (Cassazione sentenza n. 1654/1962)”.

La sentenza afferma quindi che le operazioni inesistenti considerate dal comma in rassegna sono solo quelle non imponibili, esenti o non soggette.

Si ritiene peraltro che questa pronuncia non sia condivisibile e sia il frutto di una lettura asistematica della norma sanzionatoria.

Al di là del fatto che non si ravvisa nessun non chiaro tenore della relazione illustrativa, la quale, al contrario, chiarisce perfettamente che l’equiparazione tra il primo e il secondo periodo del comma 9-bis.3 attiene solo alla procedura di espulsione delle poste a debito e a credito (del resto non può che riferirsi a tale aspetto, dato che il primo periodo nemmeno prevede una sanzione irrogabile), l’interpretazione prospettata nella sentenza del 2016 rende di fatto inapplicabile la norma sanzionatoria.

Infatti, a livello domestico non potrebbe mai trovare applicazione, perché il R.C. interno, configurandosi quale meccanismo “antifrode”, opera solo con riferimento agli acquisti imponibili; a livello internazionale, invece, sarebbero talmente rare le ipotesi (pur in astratto esistenti) di operatività della disciplina, che risulterebbe assurdo aver introdotto per esse un regime sanzionatorio ad hoc.

Fortunatamente è sul punto intervenuta la più volte citata circolare AdE 16/E/2017, la quale ha precisato che, con il comma 9-bis.3, sono state introdotte “regole specifiche, applicabili quando la violazione riguarda l’applicazione del regime di inversione contabile, per operazioni di cui al primo periodo del comma 9-bis, ma che sono inesistenti; tali regole attengono sia alla sanzione applicabile che ai criteri di recupero dell’imposta in sede di accertamento”.

Da tale interpretazione, indubbiamente preferibile rispetto a quella proposta nella sentenza 16679/2016, discende quindi che tutte le operazioni inesistenti per le quali sia stato applicato il regime di inversione contabile non potranno dar luogo a nessun recupero d’imposta, dovendosi invece espungere dalla contabilità le relative poste a debito e a credito, ma risulteranno sanzionabili nella misura proporzionale variabile tra il 5% e il 10% dell’imponibile oggetto di inversione contabile, con un minimo di 1.000 euro per ciascuna violazione.

Nella Scheda di studio pubblicata su EVOLUTION sono approfonditi, tra gli altri, i seguenti aspetti:

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