28 Luglio 2016

La vendita di immobili sottocosto è giustificata dalla crisi

di Luigi Ferrajoli
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Nell’accertamento di un maggiore reddito a carico di un imprenditore commerciale il Fisco può fondare la propria contestazione sulla natura antieconomica del comportamento del contribuente; tuttavia tale impostazione presuppone la dimostrazione della esistenza di una contabilità complessivamente inattendibile in quanto contrastante con il principio di ragionevolezza, e, conseguentemente, il necessario rispetto di alcuni necessari presupposti consistenti nella considerazione della complessiva situazione contrattuale, aziendale e di mercato del contribuente e nella sussistenza di ulteriori ed oggettivi elementi probatori.

Questo è il principio affermato dalla Commissione Tributaria Provinciale di Bergamo, Sezione II, nella sentenza n. 182 del 25.03.2016, che ha deciso su un avviso di accertamento emesso dall’Ufficio sul presupposto della natura antieconomica delle operazioni poste in essere da una società, che ha indotto l’Agenzia delle Entrate a ritenere che fosse stata attuata una indebita sottrazione di materia imponibile. In particolare, nel caso oggetto della sentenza in commento, la società accertata, svolgente attività immobiliare, aveva effettuato nell’anno oggetto di accertamento vendite di immobili a prezzi inferiori ai costi sostenuti. La società giustificava la vendita a tali prezzi rilevando la grave crisi del settore immobiliare intervenuta fra il 2007 e 2011, che aveva, peraltro, provocato il fallimento della società. Tale situazione veniva evidenziata anche dalla curatela fallimentare nella relazione ex articolo 33 L.F., che indicava come in tale periodi d’imposta i ricavi della società si fossero progressivamente ed inarrestabilmente erosi, con grave peggioramento della situazione economico-finanziaria, che, infatti, era stata posta in liquidazione e poi dichiarata fallita. La natura antieconomica delle operazioni poste in essere non era, quindi, imputabile alla società ma alla gravissima crisi del settore immobiliare, che giustificava vendite a prezzi inferiori ai costi sostenuti.

I giudici di primo grado hanno accolto il ricorso della curatela fallimentare affermando che se è vero che le vendite degli immobili sono state effettuate ad un prezzo inferiore al costo sostenuto, e, quindi, sono oggettivamente antieconomiche, è, però, altrettanto vero che l’antieconomicità delle operazioni per assumere i caratteri dell’illegittimità e giustificare la rettifica del reddito d’impresa, “deve fondarsi su una condotta di colpevolezza o di imputabilità e non essere il frutto di fattori causali determinati da un mercato gravemente recessivo, come quello che si era concretizzato nel periodo in questione, con particolare riferimento al mercato immobiliare”.

Il principio di diritto enunciato dalla C.T.P. di Bergamo trova conferma nella recente giurisprudenza di legittimità che ha affermato che la valutazione della logicità economica dei comportamenti dei contribuenti deve essere operata considerando il “contesto complessivo” delle operazioni. In particolare, il comportamento antieconomico posto in esser dal contribuente può dare luogo alle presunzioni gravi, precise e concordanti che consentono l’effettuazione dell’accertamento con il metodo analitico-induttivo di cui all’articolo 39, comma 1, lett. d) D.P.R. 600/1973, soltanto qualora ricorrano altre circostanze od argomentazioni probatori, che consentano di ritenere che il corrispettivo della transazione sia stato diverso da quello contabilizzato e dichiarato, essendo necessario che l’antieconomicità dell’operazione sia valutata tenendo conto di alcuni necessari presupposti, quali la considerazione della complessiva situazione contrattuale e aziendale, la presenza di situazioni di arbitraggio fiscale e l’inesistenza di duplicazioni impositive.

In questo senso la Corte di Cassazione nella sentenza n. 19408 del 30.09.2015 ha stabilito che è illegittimo l’accertamento induttivo per comportamenti antieconomici fondato sull’apparente antieconomicità dell’acquisto di autoveicoli ad un prezzo superiore a quello della successiva rivendita, qualora la società contribuente, inquadrando gli acquisti nel contesto complessivo dell’operazione, dia persuasiva dimostrazione del fatto che la “sopravvalutazione” dei veicoli usati, ceduti in permuta dagli acquirenti, sia finalizzata ad incentivare la vendita di veicoli nuovi con un risultato economico identico a quello di uno sconto sul prezzo di acquisto. Al riguardo appare opportuno sottolineare che, in materia di riparto dell’onere della prova, in presenza di comportamenti antieconomici incombe sul contribuente l’onere di provare la logicità ed economicità del proprio comportamento, così come affermato dalla costante giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione sentenze n. 4554 e 4559 del 25.02.2010).

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