29 Gennaio 2018

Utilizzo e valenza delle risultanze delle indagini finanziarie

di Angelo Ginex
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Con circolare 1/2018, la Guardia di Finanza, a distanza di ben dieci anni dal suo ultimo contributo, si è dotata di nuove direttive per contrastare il fenomeno dell’evasione e delle frodi fiscali, tenendo conto dell’evoluzione legislativa e giurisprudenziale intervenuta in materia.

Di notevole rilevanza è la questione relativa all’utilizzo e alla valenza della documentazione bancaria e finanziaria, dal momento che essa è l’unico materiale, fatta eccezione per la documentazione extracontabile relativa alla contabilità nera rinvenuta durante gli accessi fiscali, che attesta l’effettiva disponibilità di risorse finanziarie e la reale entità delle operazioni.

Gli articoli 32, comma 1, n. 2) D.P.R. 600/1973 e 51, comma 2, n. 2) D.P.R. 633/1972 attribuiscono alla documentazione bancaria e finanziaria efficacia probatoria di tipo presuntivo, con la conseguenza che si determina un’inversione dell’onere della prova dall’Amministrazione finanziaria al contribuente, il quale deve provare di aver tenuto conto di tali dati nell’elaborazione della dichiarazione.

La disciplina delle indagini finanziarie, contenuta nelle norme supra indicate, trova applicazione, segnatamente, con riferimento sia alle imposte sui redditi che all’Iva.

Circa le prime, è stabilito che le somme versate a seguito di operazioni effettuate dal contribuente con gli operatori finanziari sono poste a base della dichiarazione, se il contribuente non fornisce la prova di averne tenuto conto in sede di dichiarazione o che le stesse sono fiscalmente irrilevanti. Tale presunzione opera, inoltre, anche per coloro che non sono soggetti alla tenuta delle scritture contabili.

I prelevamenti, invece, che superano i 1.000 euro giornalieri, e comunque i 5.000 euro mensili, vengono considerati ricavi e, pertanto, posti a base della rettifica delle categorie di reddito, se il contribuente non ne individua il beneficiario. Quest’ultimo disposto, a seguito delle modifiche apportate dal D.L. 193/2016, non è più applicabile ai lavoratori autonomi e ai titolari di redditi d’impresa, al di sotto dei limiti minimi.

Per quanto concerne l’Iva, la presunzione opera classificando i movimenti finanziari in entrata, per i quali non è stata fornita alcuna prova contraria, come operazioni imponibili attive, mentre quelli in uscita come operazioni non autofatturate. Tali operazioni si intendono compiute all’aliquota maggiormente applicata in relazione al volume d’affari.

L’onere della prova è assolto dichiarando l’estraneità dell’operazione all’attività svolta, oppure di averne tenuto conto in sede di dichiarazione. Se le operazioni non sono giustificate, l’acquirente in nero è giudicato corresponsabile e, pertanto, è soggetto a sanzione amministrativa pari al 100 per cento dell’imposta ex articolo 6 D.Lgs. 471/1997.

I risultati delle indagini finanziarie possono essere utilizzati, oltre che nei confronti del destinatario delle stesse, anche nei confronti di terzi, persone fisiche o giuridiche, in caso di intestazioni fittizie di operazioni. Tuttavia, il modello presuntivo illustrato opera solo per il contribuente soggetto alle indagini, mentre per la ricostruzione reddituale del terzo, tali dati possono essere utilizzati soltanto come presunzioni semplici, o semplicissime, o come prova diretta dell’evasione. Conseguenza di ciò è che la Guardia di Finanza dovrà instaurare un contraddittorio anche con il terzo.

Da ultimo, tale disciplina è applicabile anche all’accertamento di altri tributi, ma, in tal caso, non opera alcuna inversione dell’onus probandi. Spetterà, quindi, all’Amministrazione finanziaria provare che tali somme non sono state prese in considerazione in sede di dichiarazione.

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