6 Dicembre 2017

Utilizzo delle dichiarazioni rese dal professionista in ambito penale

di Marco Bargagli
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Nell’ambito degli ordinari poteri riservati agli uffici finanziari, ai sensi dell’articolo 52, comma 3, del D.P.R. 633/1972, è necessaria l’autorizzazione del procuratore della Repubblica o dell’autorità giudiziaria per procedere durante l’accesso a perquisizioni personali e all’apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili e per l’esame di documenti e la richiesta di notizie relativamente ai quali è eccepito il segreto professionale ferma restando la norma di cui all’articolo 103 del codice di procedura penale.

A norma dell’articolo 5 del D.Lgs. 139/2005, rubricato Obbligo del segreto professionale”, gli iscritti all’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili hanno l’obbligo del segreto professionale.

La stessa disposizione normativa prevede che il commercialista, in virtù della professione svolta, può eccepire il segreto professionale e può anche avvalersi della facoltà di astenersi dal deporre, rendendosi applicabili gli articoli 199 e 200 del codice di procedura penale e l’articolo 249 del codice di procedura civile.

Inoltre, con riferimento agli avvocati che svolgono funzioni difensive o i professionisti che assumono l’ufficio di consulenti tecnici, sono previste particolari e più specifiche garanzie che derivano dalla clausola di salvaguardia, contenuta nel medesimo articolo 52 del D.P.R. 633/1972, che richiama l’articolo 103 del codice di procedura penale rubricato Garanzie del difensore”.

Nello specifico, la disciplina del segreto professionale si ricava dall’articolo 200 del codice di procedura penale, a mente del quale non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria:

  • i ministri di confessioni religiose;
  • gli avvocati, gli investigatori privati autorizzati, i consulenti tecnici e i notai;
  • i medici e i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria;
  • gli esercenti altri uffici o professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale, come nel caso dei commercialisti.

In tema di segreto professionale, la suprema Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 46588 depositata in data 11 ottobre 2017, ha confermato che le dichiarazioni rese dal dottore commercialista che non si è avvalso della facoltà di eccepire il segreto professionale, possono essere pienamente utilizzabili nel processo penale.

La vicenda prende le mosse dall’impugnazione del provvedimento, emesso dal Tribunale di Palermo, con il quale veniva disposto il sequestro preventivo dell’intero capitale sociale e del complesso di beni aziendali di una società a responsabilità limitata, a fronte del reato previsto dall’articolo 12-quinquies del D.L. 306/1992 riguardante, in particolare, la fittizia intestazione dell’integralità delle quote societarie.

La parte ricorrente lamentava l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal commercialista della società, tenuto conto che lo stesso poteva eccepire il segreto professionale.

Inoltre, non era stata formalmente data comunicazione al citato professionista circa la possibilità di astenersi dal deporre, in virtù delle garanzie specificatamente previste dal codice di procedura penale.

La suprema Corte di Cassazione ha anzitutto confermato che i dottori commercialisti e gli esperti contabili, iscritti all’apposito Albo, hanno l’obbligo del segreto professionale e che nei loro confronti si applicano le garanzie previste dalla normativa di riferimento in precedenza illustrata, con conseguente diritto di avvalersi del segreto professionale

Tuttavia, dall’articolazione del motivo di ricorso risulta che le dichiarazioni sono state rese senza che il professionista abbia opposto nessun tipo di segreto.

Per tale motivo, gli ermellini hanno sancito la piena utilizzabilità delle dichiarazioni, tenuto conto che la testimonianza resa da un professionista in violazione dei doveri deontologici in tema di segreto professionale è utilizzabile, non integrando una violazione di disposizioni processuali previste a pena di inutilizzabilità.

I giudici di legittimità hanno inoltre respinto il ricorso relativo alla asserita necessità di formulare un avviso preventivo nei confronti del professionista, circa la facoltà di astenersi dal deporre.

Tale obbligo, previsto dall’articolo 199, comma 2, del codice di procedura penale, in relazione ai “prossimi congiunti dell’imputato”, non è applicabile ai soggetti espressamente indicati nell’articolo 200 del codice di procedura penale, a norma del quale essi non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria.

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