5 Agosto 2015

Una nuova imposta sui vincoli di destinazione … e nessuno se ne era accorto

di Sergio Pellegrino
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Dopo aver esaminato la visione di Agenzia, dottrina e notariato sulla fiscalità degli atti di dotazione dei beni in trust, analizziamo la posizione assunta dalla Cassazione nelle ordinanze di fine febbraio


Tutto il dibattito sviluppatosi nel corso degli anni sul tema dell’imposizione indiretta della disposizione dei beni in trust, in un serrato confronto fra dottrina, amministrazione finanziaria e giurisprudenza di merito, è stato “spazzato” via da tre inopinate ordinanze di febbraio della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione.

Le pronunce in questione, pur essendo coeve e scritte dalla stessa mano, presentano fra di loro elementi di differenza che evidenziano una certa confusione nello sviluppo seguito dall’estensore: condividono però un filo conduttore comune e cioè il fatto che l’articolo 2, comma 47, del D.L. n. 262/2006, che fino ad oggi credevamo si fosse limitato “soltanto” a reintrodurre nel nostro ordinamento l’imposta di successione e donazione, in realtà avrebbe dato vita ad una “nuova” imposta, quella sui vincoli di destinazione, che sarebbe del tutto autonoma.

La “nuova” imposta sarebbe accomunata all’imposta di successione e donazione soltanto dalla disciplina che riceve “mediante un rinvio, di natura recettizio-materiale, alle disposizioni del D.Lgs. 347/1990”, ma si fonderebbe su un presupposto impositivo differente, “correlato alla predisposizione del programma di funzionalizzazione del diritto al perseguimento degli obiettivi voluti”.

Per far scattare il presupposto impositivo, secondo la “fantasiosa” visione elaborata dalla Suprema Corte, non sarebbe dunque necessario che vi sia un trasferimento di beni e diritti, né riscontrare che vi sia una liberalità o l’arricchimento di alcuno: il contenuto patrimoniale referente di capacità contributiva sarebbe l’utilità economica che è destinata a pervenire al beneficiario finale, sul quale deve quindi, in definitiva, gravare il peso del prelievo.

L’imposta sarebbe istituita non sui trasferimenti di beni e diritti a causa della costituzione di vincoli di destinazione, come invece è per le successioni e donazioni, per le quali è espressamente evocato il nesso causale, ma direttamente sulla costituzione dei vincoli.

Nella prima di queste ordinanze, la n. 3735 del 24 febbraio 2015, viene affrontato il caso di un trust autodichiarato, nel quale il disponente ha istituito il trust al fine di rafforzare la generica garanzia patrimoniale già prestata a favore di alcuni istituti bancari.

Non essendo rilevante il trasferimento dei beni per far scattare l’obbligo impositivo, secondo i giudici vi sarebbe prelievo anche in questo caso e risulterebbe applicabile l’aliquota nella misura dell’8%, “imposta dalla sua natura residuale, non rientrando la figura del conferente, che seguita ad essere proprietario dei beni, in alcuna delle altre categorie previste dalla norma, che godono dell’aliquota inferiore”.

Qui è evidente la totale confusione dell’estensore, che richiama in questo punto la “figura del conferente e non quella del “beneficiario finale”, cui aveva fatto in precedenza riferimento affermando che “il peso del prelievo coerentemente va gravare sull’utilità e, in definitiva, sul beneficiario finale, al quale esse destinata a pervenire”.

Nell’ordinanza 3737, sempre del 24 febbraio, è stato invece esaminato il caso di un trust di scopo, istituito dalla Fondazione Cassa di risparmio di Perugia assieme ad alcuni enti pubblici con l’obiettivo di riqualificare l’aeroporto di Perugia.

Anche qui la conclusione è quella dell’applicazione dell’imposta sulla costituzione del vincolo di destinazione nella misura dell’8%, ma viene in modo “fumoso” ipotizzata la possibilità che il prelievo impositivo non si esaurisca al momento della dotazione, come teorizzato da tutti, Agenzia compresa, ma possa essere “riliquidato”: afferma infatti la sentenza che “La materiale percezione dell’utilità, ossia secondo la tradizionale impostazione, l’arricchimento, appartiene all’esecuzione del programma di destinazione, che, per conseguenza, non rileva ai fini dell’individuazione momento del prelievo tributario sulla costituzione del vincolo, ma dopo, anche ai fini dell’eventuale riliquidazione delle aliquote e delle franchigie”.

Nell’ordinanza 3886 del 25 febbraio, infine, viene analizzato il caso di un trust con due disponenti che si sono nominati trustee e beneficiari (se in vita, altrimenti i figli in parti uguali): la Cassazione conclude nuovamente per l’applicabilità dell’imposta sui vincoli di destinazione con l’aliquota dell’8%.

Dalla lettura di queste pronunce, molto confuse s’è detto, vi è un unico aspetto che emerge con grande chiarezza, e cioè il fatto che la Suprema Corte è incorsa in un gravissimo infortunio interpretativo, che rischia di creare nocumento non soltanto ai trust, ma a qualsiasi fattispecie che implichi l’apposizione di un vincolo di destinazione: a partire dal fondo patrimoniale e dagli atti di destinazione disciplinati dall’articolo 2645 ter del codice civile per arrivare, potenzialmente, alle intestazioni fiduciarie, ai patrimoni destinati ad uno specifico affare, e così via.

Inutile dire che è auspicabile alla prima occasione un brusco revirement per cancellare con un colpo di spugna anche il ricordo di queste scellerate ordinanze.