13 Luglio 2018

Il trust fra luoghi comuni e falsi miti – VIII° parte

di Sergio Pellegrino
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Concludiamo l’esame delle possibili “obiezioni” che possono essere mosse relativamente alla scelta di istituire un trust, affrontando la questione della fiscalità indiretta.

Come è noto, esistono infatti orientamenti contrastanti che riguardano, in particolare, il momento impositivo e questo, secondo alcuni, potrebbe “scoraggiare” dall’avvicinarsi all’istituto, essendo evidente che l’incertezza della tassazione rappresenta un’insidia per qualsiasi negozio giuridico.

Questa era fra l’altro la tesi sostenuta nella relazione illustrativa della proposta di legge n. 4675, presentata nella precedente legislatura con l’obiettivo di introdurre una normativa ad hoc per la tassazione indiretta dei trust, nella quale è stato affermato che “ciò che ancor oggi ne (ndr: del trust) pregiudica l’effettiva diffusione in Italia non è più il carattere pionieristico dell’istituto sul versante dell’impianto civilistico, bensì la parziale lacuna normativa ancora esistente sul piano fiscale”.

L’incertezza indubbiamente sussiste, in considerazione del fatto che l’Agenzia ha da sempre una posizione ben definita, la dottrina ne sostiene un’altra in netto contrasto, mentre la giurisprudenza “ondeggia” dubbiosa fra diverse tesi.

In realtà, nonostante ciò, nella maggior parte dei casi, il trust rappresenta lo strumento ideale per pianificare, anche da un punto di vista fiscale, la propria successione. E questo applicando la tesi dell’Agenzia delle Entrate, che pretende la tassazione “immediata” dell’atto di dotazione con l’applicazione dell’imposta di successione e donazione sulla base del rapporto esistente fra disponente e beneficiari attuali.

Così facendo, evidentemente, diventa “secondario” sapere come la pensano al riguardo i giudici, atteso che l’Ufficio è vincolato alla prassi dell’Agenzia e quindi non vi potrà essere alcun contenzioso.

La disciplina attuale è particolarmente vantaggiosa perché “combina” diversi elementi favorevoli franchigia elevata e aliquota bassa per i parenti in linea retta, esenzione per i passaggi generazionali di aziende e partecipazioni, rendite catastali basse per gli immobili, valore del patrimonio netto contabile delle società partecipate da considerare come base imponibile per le partecipazioni –, e quindi “tassare immediatamente” è, paradossalmente, generalmente conveniente.

Viene infatti “chiusa” definitivamente la partita successoria, nella maggior parte dei casi pagando poco o nulla, con una tassazione che è “tombale” anche nel caso in cui quel patrimonio incrementi il proprio valore, come ha avuto modo di precisare l’Agenzia nella circolare 48/E/2007, affermando che “Poiché la tassazione, che ha come presupposto il trasferimento di ricchezza ai beneficiari finali, avviene al momento della costituzione del vincolo, l’eventuale incremento del patrimonio del trust non sconterà l’imposta sulle successioni e donazioni al momento della devoluzione”.

Questo scenario così favorevole è però sicuramente destinato a modificarsi, sia dal punto di vista della disciplina dell’imposta di successione e donazione, con un inasprimento sollecitato anche in ambito comunitario, che della revisione delle rendite catastali.

Oggi, invece, disponendo il proprio patrimonio in trust, vi è la possibilità di trasferirlo ai propri discendenti in futuro, al termine di durata del trust stabilita nell’atto istitutivo, senza che venga intaccato in modo rilevante da un eccessivo carico impositivo in sede successoria.

Laddove vi sia un significativo patrimonio immobiliare detenuto personalmente, bisogna però tenere conto del carico legato alle imposte ipotecarie e catastali, che l’Agenzia pretende di applicare nella misura del 3% sul valore catastale degli immobili disposti in trust: generalmente gli importi non sono proibitivi, ma si potrebbe comunque confutare la pretesa impositiva sulla base del massiccio orientamento contrario sin qui assunto dalla giurisprudenza.

Diversamente, laddove le caratteristiche del patrimonio o dei beneficiari fossero tali da rendere eccessivamente onerosa la tassazione degli atti di disposizione, si può effettuare la scelta di non uniformarsi all’orientamento dell’Agenzia, seguendo invece quello della dottrina e, soprattutto, dell’importante sentenza n. 21614/2016 della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione: in questo caso sarà però probabile l’attivazione dell’Ufficio, con il conseguente instaurarsi di un contenzioso.

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