12 Luglio 2018

Il trust fra luoghi comuni e falsi miti – VII° parte

di Sergio Pellegrino
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Un’altra criticità che molte volte viene evocata in relazione al trust è quella relativa alla giurisdizione, venendo paventato il rischio di doversi rivolgere, nel caso in cui i “protagonisti” del trust successivamente litighino, ad un giudice straniero.

È evidente come questo sia un elemento da non sottovalutare, atteso che un eventuale contenzioso in un foro straniero può essere non soltanto un’operazione complessa, ma anche estremamente costosa.

Scegliere una legge regolatrice o l’altra può apparire “semplice” nella fase istitutiva del trust, ma bisogna interrogarsi su ciò che può succedere in caso di controversie.

Se il disponente ha scelto, come accade frequentemente, la legge di Jersey, la controversia deve essere necessariamente decisa dalla Corte di Jersey? Oppure se ha optato per la legge di San Marino è competente per forza di cose la Corte per il trust e i rapporti fiduciari di San Marino? In altre parole, la scelta della legge regolatrice vincola a quella giurisdizione?

Così non è necessariamente.

Per evitare una conseguenza di questo tipo è opportuno inserire nell’atto istitutivo una clausola che riservi in via esclusiva alla magistratura italiana ogni controversia relativa all’istituzione, alla validità o agli effetti del trust o alla sua amministrazione, così come ai diritti o obbligazioni di qualunque soggetto menzionato nell’atto.

In questo modo sarà dunque il foro italiano indicato nell’atto a dirimere i contenziosi che si dovessero originare fra i soggetti coinvolti, a diverso titolo, nel trust.

Ma la questione ha evidentemente una chiave di lettura diversa, anzi diametralmente opposta.

In certi casi, infatti, il disponente decide espressamente e scientemente di riservare ad un foro straniero le eventuali controversie: ha chiaramente la possibilità di farlo, prevedendolo nell’atto istitutivo, ma il problema che si pone è se questa scelta vincoli tutti, terzi compresi, o soltanto gli altri “protagonisti” del trust.

Il Tribunale di Modena, nella sentenza del 6 novembre 2017, ha sposato la prima tesi, sostenendo che “Quanto all’atto dispositivo del trust ed agli stessi effetti dallo stesso derivanti non solo nei confronti dei contraenti ma anche nei confronti dei terzi, … occorre rilevare che le parti hanno espressamente indicato nell’atto costitutivo la legge applicabile con riferimento alle disposizioni patrimoniali la legge di San Marino 38/2005 ed individuato il foro esclusivo competente a decidere ogni controversia da esso derivante nel Tribunale di San Marino, per cui l’eccezione di difetto di giurisdizione merita accoglimento restando assorbite

tutte le ulteriori domande proposte”.

La Corte d’Appello di Milano, invece, nella sentenza del 7 novembre 2017, ha fatto propria la tesi contraria, affermando che “La clausola di proroga della giurisdizione a favore di un giudice straniero contenuta nell’atto istitutivo del Trust Sciaulino vincola esclusivamente le parti che hanno stipulato tale atto in relazione a diritti ed obblighi derivanti da esso. Non può essere, invece, ritenuta vincolante nei confronti di soggetti che si trovino in una posizione di terzietà ed estraneità rispetto al trust, come il Condominio appellato”.

La questione non è dunque così pacifica per tutti i giudici, nonostante vi sia un’indicazione chiara e incontrovertibile venuta dalla sentenza della Cassazione a Sezioni Unite del 20 giugno 2014: “può senz’altro ammettersi che una clausola di proroga della giurisdizione inserita nell’atto costitutivo di un trust, certamente consentita, … vincoli, oltre al costituente, anche i gestori ed i beneficiari del trust, quantunque  non  personalmente firmatari della clausola, ogni qual volta vengano in discussione diritti ed obblighi inerenti al trust ed al suo funzionamento, ma deve evidentemente escludersi che essa possa vincolare anche soggetti che rispetto al trust si pongano in posizione di terzietà ed ai quali la paternità della clausola non sia in alcun modo riconducibile”.

Le conclusioni della Suprema Corte non possono che essere condivise: appare francamente irragionevole impedire al terzo, che sia un creditore, come nel caso della pronuncia di Modena, piuttosto che un figlio diseredato, fattispecie esaminata invece dal Tribunale di Udine nella sentenza del 22 marzo 2013, di far valere le proprie ragioni innanzi al giudice italiano.

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