30 Luglio 2021

Treaty shopping: la Cassazione traccia l’onere della prova

di Marco Bargagli
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La scheda di FISCOPRATICO

Il “treaty shopping” o “treaty abuse” può essere definito come un fenomeno di elusione fiscale internazionale finalizzato ad ottenere, indebitamente, le agevolazioni previste da un trattato internazionale contro le doppie imposizioni sui redditi con il precipuo scopo di ridurre, o nei casi estremi azzerare, la ritenuta alla fonte a titolo di imposta prevista sui flussi reddituali erogati da soggetti italiani nei confronti di soggetti non residenti.

Sullo specifico punto gli accordi internazionali contro le doppie imposizioni sui redditi e talune direttive comunitarie prevedono la clausola antiabuso conosciuta tra gli addetti ai lavori come clausola del “beneficiario effettivo” o “beneficial owner”, formalmente prevista dagli articoli 10, 11 e 12 del modello di convenzione internazionale.

Seguendo un approccio sostanzialistico e le correlate disposizioni internazionali diramate dall’Ocse, il beneficiario effettivo è il percettore dei redditi che gode del semplice diritto di utilizzo dei flussi reddituali (right to use and enjoy) e non sia obbligato a retrocedere gli stessi ad altro soggetto, sulla base di obbligazioni contrattuali o legali, desumibili anche in via di fatto (unconstrained by a contractual or legal obligation to pass on the payment received to another person).

Con particolare riferimento alla tassazione delle royalties (rectius canoni) corrisposte a soggetti non residenti, i compensi percepiti per l’utilizzazione di opere dell’ingegno, di brevetti industriali e di marchi d’impresa nonché di processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico (di cui all’articolo 23, comma 2, lettera c, Tuir), corrisposti a non residenti sono soggetti ad una ritenuta del 30% a titolo di imposta sulla parte imponibile del loro ammontare (articolo 25, comma 4, D.P.R. 600/1973).

Tuttavia, l’articolo 26-quater D.P.R. 600/1973 (in recepimento della Direttiva 2003/49/CE del 03.06.2003 c.d. direttiva “Interessi-Canoni”), prevede l’esenzione dalle imposte sugli interessi e sui canoni corrisposti nei confronti di soggetti residenti in Stati membri dell’Unione Europea.

A tale fine, giova ricordare che le società beneficiarie (o le società le cui organizzazioni sono beneficiarie):

  • devono risiedere ai fini fiscali in uno Stato membro, senza essere considerate, ai sensi della Convenzione in materia di doppia imposizione sui redditi stipulata con uno Stato terzo, residenti al di fuori dell’Unione europea;
  • devono rivestire una delle forme previste dall’allegato A del D.Lgs. 143/2005, ossia devono rivestire tassative forme giuridiche nazionali.

Inoltre, il soggetto percettore deve essere il beneficiario effettivo dei flussi di reddito corrisposti e non operare come un soggetto meramente interposto nel flusso reddituale, al solo scopo di usufruire della direttiva comunitaria.

In tema di abuso di trattati internazionali e del riparto dell’onere della prova, è recentemente intervenuta la suprema Corte di cassazione, Sezione V civile, con l’ordinanza n. 17746 pubblicata il 22.06.2021.

Nel corso del contenzioso tributario, l’Agenzia delle Entrate aveva dedotto l’erroneità della decisione impugnata, laddove il giudice di merito aveva ritenuto che la società estera fosse il “beneficiario effettivo” dei canoni versati dalla società italiana per l’utilizzo della proprietà intellettuale, senza verificare la sussistenza di tale presupposto, il cui onere probatorio sarebbe gravato sul contribuente.

In particolare, il giudice del gravame aveva ritenuto che alle royalties passive versate da una società di capitali italiana, nei confronti di una consociata olandese, dovesse essere applicata l’aliquota convenzionale ridotta del 5% in luogo della più gravosa aliquota del 30% ritenendo sufficiente la produzione, da parte del sostituto di imposta (la società italiana che ha erogato i canoni), della dichiarazione della società olandese, destinataria del pagamento dei canoni, di essere il “beneficiario effettivo” dei canoni stessi.

A tal fine, il giudice ha affermato che si deve ritenere corretto il comportamento di un soggetto italiano che si limita ad assumere la certificazione fiscale rilasciata dal paese estero che è documento valido per dimostrare la sussistenza in capo al soggetto estero dei requisiti richiesti dalle disposizioni commerciali per beneficiare di regimi fiscali di favore [..] Il sostituto deve unicamente verificare mediante anche semplice dichiarazione di parte, che può essere I’ autocertificazione fatta dallo stesso beneficiario effettivo […] deve ritenersi pertanto corretto il comportamento del contribuente che ha assunto la certificazione fiscale rilasciata dal paese estero che ha dichiarato la sussistenza in capo al soggetto estero dei requisiti richiesti per beneficiare di regimi fiscali di favore e l’Ufficio non ha seguito le opportune verifiche atte a dimostrare il proprio assunto limitandosi a chiedere la prova della qualifica al sostituto d’imposta e non al sostituito come sarebbe stato opportuno fare mediante gli strumenti della cooperazione transfrontaliera e relativa alla condotta tenuta dal sostituto percettore del reddito relativo alle royalties pagate dalla società appellante».

A parere degli Ermellini, il giudice del gravame non ha fatto retta applicazione delle norme che regolano la complessa materia e dei principi elaborati in sede di legittimità in tema di doppia imposizione internazionale ai fini della tassazione delle “royalties” e, in particolare, del criterio – elaborato dalla prassi internazionale – del “beneficiario effettivo“.

Lo stesso, come detto, è finalizzato a contrastare pratiche volte a trarre profitto dalla autolimitazione della potestà impositiva statale.

Il “beneficiario effettivo” è il soggetto sottoposto alla giurisdizione dell’altro Stato contraente che ha la reale disponibilità giuridica ed economica del provento percepito realizzandosi, altrimenti, una traslazione impropria dei benefici convenzionali o un fenomeno di non imposizione (cfr. ex multis, Corte di Cassazione, ordinanza n. 32840 del 19.12.2018).

In merito, l’effettività della reale disponibilità giuridica ed economica del provento può esservi anche laddove il compenso sia stato percepito tramite un soggetto interposto proprio in considerazione di un’interpretazione funzionale della clausola generale dell’ordinamento fiscale internazionale del “beneficiario effettivo” (cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 24287 del 30.09.2019, riguardante la Convenzione Italia-Giappone).

A tal proposito, è stato chiarito che tale clausola generale è volta ad impedire che i soggetti possano abusare dei trattati fiscali attraverso pratiche di treaty shopping con il solo scopo di riconoscere la protezione convenzionale a contribuenti che, altrimenti, non ne avrebbero avuto diritto o che avrebbero subìto un trattamento fiscale comunque meno favorevole.

Ciò posto, a parere dei giudici di piazza Cavour la sussistenza dei requisiti convenzionali (beneficiario effettivo) deve essere accertata, in fatto, dal giudice di merito.

Inoltre, avuto riguardo alle regole di riparto dell’onere probatorio, poiché la società italiana è il sostituto d’imposta che ha operato la ritenuta convenzionale, non può che gravare su di essa l’onere di provare la qualità di “beneficiario effettivo” della società destinataria dei canoni riguardanti l’utilizzo della proprietà intellettuale, in quanto quest’ultima, quale soggetto sostituto, è come se fosse la destinataria dei canoni stessi.

Pertanto, l’onere della prova del fatto che giustifica il più favorevole regime convenzionale incombe sul contribuente divenendo irrilevante la produzione del “certificato di residenza fiscale rilasciato dalle autorità fiscali”.

Di contro, a carico dell’Agenzia dell’entrate incombe l’onere di contestare espressamente i fatti affermati dal contribuente.