3 Aprile 2014

Trasporti di beni “estero su estero” con Iva

di Marco Peirolo
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In un precedente intervento è stato esaminato il trattamento applicabile, ai fini IVA, alle prestazioni di trasporto di beni esportati al di fuori dell’Unione europea (si veda “Trasporti di beni in esportazione con doppio vettore in regime di non imponibilità Iva”, pubblicato il 7 marzo 2014).

L’art. 9, comma 1, n. 2), del D.P.R. n. 633/1972 considera non imponibili “i trasporti relativi a beni in esportazione, in transito o in importazione temporanea, nonché i trasporti relativi a beni in importazione i cui corrispettivi sono assoggettati all’imposta a norma del primo comma dell’art. 69”.

L’agevolazione presuppone che la prestazione sia territorialmente rilevante in Italia. Al riguardo, si ricorda che i trasporti di beni:

  • nei rapporti “B2B”, costituiscono prestazioni “generiche”, alle quali cioè si applica la regola generale di cui all’art. 7-ter, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972, per cui il luogo di effettuazione del trasporto è (convenzionalmente) coincidente con il Paese del committente;
  • nei rapporti “B2C”, sono soggetti ad un diverso regime territoriale a seconda che il trasporto sia intracomunitario o meno. Infatti:

– le prestazioni di trasporto di beni diverse dal trasporto intracomunitario si considerano effettuate in Italia “in proporzione alla distanza percorsa nel territorio dello Stato” (art. 7-sexies, comma 1, lett. b), del D.P.R. n. 633/1972);

– le prestazioni di trasporto intracomunitario di beni si considerano effettuate in Italia “quando la relativa esecuzione ha inizio nel territorio dello Stato” (art. 7-sexies, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 633/1972).

La definizione di “trasporto intracomunitario di beni” è contenuta nell’art. 7, comma 1, lett. f), del D.P.R. n. 633/1972. Riproducendo, in buona sostanza, l’abrogato art. 40, comma 7, del D.L. n. 331/1993, è stato previsto che, per tale “si intende il trasporto di beni il cui luogo di partenza e il cui luogo di arrivo sono situati nel territorio di due Stati membri diversi”, laddove:

  • il “luogo di partenza” è quello “in cui inizia effettivamente il trasporto dei beni, senza tener conto dei tragitti compiuti per recarsi nel luogo in cui si trovano i beni”;
  • il “luogo di arrivo” è quello “in cui il trasporto dei beni si conclude effettivamente”.

Nell’ipotesi in cui la prestazione sia territorialmente rilevante in Italia, il regime di non imponibilità si applica in modo oggettivo, cioè a prescindere dallo status del committente (soggetto IVA o meno), a condizione – come ricordato – che il trasporto riguardi beni in esportazione, transito o importazione.

Sul punto, è opportuno rammentare che, a partire dall’anno 1993, vale a dire dall’introduzione della disciplina sugli scambi intracomunitari di beni, “i concetti di importazione e esportazione assumono rilevanza non più con riferimento al territorio dello Stato, ma con riferimento al territorio comunitario (che ai fini doganali rappresenta un unicum). In tale prospettiva, è da ritenere che le anzidette previsioni di non imponibilità possano trovare applicazione, per i servizi acquistati da committenti stabiliti nel territorio dello Stato, anche quando le predette fattispecie (esportazione, importazione, transito) si verifichino nel territorio di uno Stato diverso dall’Italia” (circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 37 del 29 luglio 2011, § 5).

In pratica, rispetto ai beni in esportazione, la non imponibilità compete se l’operazione principale ha per oggetto il trasferimento della merce a destinazione di un Paese extra-UE, indipendentemente quindi dal Paese UE di origine.

Come, infatti, chiarito dalla risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 134 del 20 dicembre 2010, il committente italiano di una prestazione di trasporto di beni in esportazione da un altro Paese membro beneficia, in sede di reverse charge, del regime di non imponibilità, “tenuto conto che la prestazione di trasporto dei beni è collegata ad una cessione all’esportazione”.

Tale indicazione è stata confermata dalla circolare n. 37/E/2011 (§ 5), la quale – nel richiamare la normativa comunitaria – ha fatto (correttamente) riferimento alla lett. e) dell’art. 146 della Direttiva n. 2006/112/CE, posto che la lett. a) dello stesso articolo – impropriamente richiamata dalla precedente risoluzione n. 134/E/2010 – si riferisce alle “cessioni di beni spediti o trasportati, dal venditore o per suo conto, fuori della Comunità”.

In altri termini, la detassazione applicabile nel caso in esame non è quella prevista per l’operazione principale (lett. a), ma per quella ad essa relativa, vale a dire il trasporto. Ed infatti, la lett. e) menziona, tra le altre, le prestazioni di trasporto “qualora siano direttamente connesse alle esportazioni (…)”.

Dal tenore letterale di quest’ultima disposizione sembrerebbe invece confermata la limitazione prevista, per i trasporti di beni “estero su estero”, dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 12 del 12 marzo 2010 (§ 3.3). Ipotizzando che la merce sia trasportata dalla Svizzera agli Stati Uniti, se la prestazione è territorialmente rilevante in Italia – come nel caso in cui vettore e committente siano soggetti IVA italiani – “non ricorrono le condizioni previste (…) per applicare il regime di non imponibilità, atteso che i beni trasportati non formano oggetto di una operazione di esportazione (…)”.

Del resto, a favore di questa conclusione, può osservarsi che la norma nazionale in materia è rimasta immutata a seguito del riordino operato dal D.Lgs. n. 18/2010, mentre il n. 7) dello stesso art. 9 del D.P.R. n. 633/1972, nel disciplinare la non imponibilità dei servizi di intermediazione, è stato modificato, estendendo l’agevolazione, già prevista per “i servizi di intermediazione relativi a beni in importazione, in esportazione o in transito (…)”, ai servizi “relativi ad operazioni effettuate fuori del territorio della Comunità”.