10 Settembre 2013

Trasferimento all’estero a ostacoli

di Ennio Vial
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Il D.M. 2 agosto 2013 ha finalmente dato attuazione ai commi 2-quater e 2-quinquies dell’art. 166 del Tuir inseriti dal D.L. n. 1/2012 per recepire le indicazioni contenute nella sentenza della Corte di Giustizia Europea Causa C-371/10 del 2011.

I Supremi giudici hanno avuto modo di precisare che l’art. 49 del T.F.U.E. contrasta con una normativa che impone ad una società che trasferisce in altro Stato membro la propria sede amministrativa effettiva la riscossione immediata, al momento stesso di tale trasferimento, dell’imposta sulle plusvalenze latenti relative agli elementi patrimoniali di tale società così come previsto nella versione originaria della norma.

In sostanza, il contribuente può ora beneficiare di tre regimi distinti:

  • il classico regime del pagamento immediato delle imposte sul plusvalore;
  • il regime del pagamento al momento del realizzo differito dei beni;
  • il realizzo immediato, come nel primo caso, ma con pagamento dell’imposta dilazionata in 10 anni. Quest’ultima opportunità, assente nella norma, è stata offerta dal decreto.

Il decreto ha scelto di escludere il differimento per i beni merce, probabilmente per motivi di semplicità, ed ha imposto una liquidazione dei componenti positivi e negativi riportati in avanti, alla stregua di quello che accade al soggetto che entra nel regime dei minimi.

Ha inoltre correttamente stabilito che non si può tener conto di eventuali plusvalenze o minusvalenze realizzate successivamente al trasferimento. Questo principio, peraltro desumibile anche dalla stessa sentenza della Corte, è assolutamente condivisibile e ribadisce quanto correttamente sostenuto dall’Agenzia nella risoluzione n.242/E/2002 dove, affrontando il caso del trasferimento della partecipazione dalla sfera istituzionale a quella commerciale di un ente ecclesiastico ha statuito che “occorre comunque salvaguardare il principio generale del sistema in base al quale i componenti di reddito debbono rilevare nel medesimo regime nel quale sono maturati e non in un regime diverso, al fine di evitare arbitraggi rivolti a scegliere il sistema di tassazione più conveniente“.

Scendendo in un caso concreto, la questione potrebbe riguardare la mera immobiliare di gestione che trasferisce la residenza all’estero. Facciamo l’esempio di una “piccola” srl con due o tre immobili locati. Il trasferimento all’estero non comporta la sussistenza di una stabile organizzazione per cui la norma in oggetto può essere applicata ipotizzando che la stessa non risulti esterovestita. Si dovrà calcolare il plusvalore come differenza tra il valore di mercato dell’immobile al momento del trasferimento ed il costo fiscalmente riconosciuto dello stesso. Ebbene, anche se l’imposta è a esigibilità differita, la plusvalenza è determinata in modo definitivo al momento del trasferimento.

Ipotizziamo un costo di 100, un valore di mercato di 150 e una vendita a distanza di anni per un importo di 180.

In questo caso ci saranno due plusvalenze; la prima di 50 determinata con le regole del reddito di impresa al momento del trasferimento, ed una seconda di 30 determinata con le regole dei soggetti non residenti che non hanno una stabile organizzazione in Italia. Supponiamo, invece, che la vendita successiva venga effettuata a 130. In questo caso abbiamo una plusvalenza di 50 ed una minusvalenza di 20 che non sono compensabili.

Purtroppo, il decreto nulla dice in merito all’annoso problema della difficoltà di trasferire la sede della società in alcuni paesi, ancorché comunitari. Il 3° comma dell’art. 25 della legge n. 218 del 1995 stabilisce infatti che il trasferimento della sede legale indicata nello statuto è efficace solo se posto in essere conformemente agli ordinamenti dello Stato di provenienza e dello Stato di destinazione. Ne consegue che la continuità giuridica della società è condizionata alla ammissibilità del trasferimento nei due ordinamenti. In sostanza, una società estera che abbia trasferito in Italia la propria sede legale, diviene società di diritto italiano senza necessità di costituirsi ex novo a condizione che il trasferimento della predetta sede sia ammesso dalla legge dello Stato in cui si è costituita. Lo stesso vale nel caso del trasferimento all’estero.

Alcuni ordinamenti, però, anche di paesi “vicini”, non consentono che una società costituita secondo il diritto nazionale possa trasferire all’estero la propria sede sociale se non a prezzo della dissoluzione e liquidazione dell’ente. Ebbene, la neutralità fiscale indicata nell’art. 166 del Tuir vale anche in ipotesi di dissoluzione della società? E in tal caso, quid iuris circa i profili impositivi in capo al socio?

A volte questo tipo di operazioni sono poste in essere per “rottamare” la società controllante estera o la controllata italiana, risultato che può essere alternativamente raggiunto attraverso una più onerosa fusione transnazionale.

L’auspicio è che l’Agenzia delle Entrate confermi la sospensione della tassazione anche in caso di fusione transnazionale che faccia venir meno la società in Italia senza che rimanga la stabile organizzazione.

Da ultimo segnaliamo che il decreto ha voluto ricomprendere tra i beni da assoggettare a tassazione anche l’avviamento compiendo, di fatto, una scelta destinata ad alimentare, inevitabilmente, il contenzioso tra fisco e contribuenti.