21 Luglio 2016

La stabile organizzazione ha perso la forza attrattiva

di Fabio Landuzzi
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L’articolo 7 del D.Lgs. 147/2015 (“Decreto internazionalizzazione”) ha apportato rilevanti modifiche alla determinazione del reddito imponibile in Italia per le società e gli enti commerciali residenti all’estero e dotati di una loro stabile organizzazione nel territorio dello Stato italiano.

Fra le novità della novellata disciplina emerge in primo piano la cancellazione del principio che per lungo tempo aveva dominato la scena della regolamentazione fiscale della stabile organizzazione interna e che andava sotto il nome di cd. principio della forza di attrazione della stabile organizzazione.

La riformulazione degli articoli 151 e 152 del Tuir ad opera del Decreto internazionalizzazione, come commentato anche nella Relazione di accompagnamento al provvedimento, fa sì che per la disciplina del reddito imponibile delle società e degli enti commerciali esteri occorrerà far riferimento ad una tassazione “su base isolata”, ovvero senza potersi avere compensazioni fra redditi di categoria diversa e secondo le regole dettate dal Titolo I del Tuir per i redditi che si considerano prodotti in Italia, con la sola eccezione, appunto, dei redditi d’impresa prodotti dalla stabile organizzazione interna i quali saranno determinati secondo quanto previsto dall’articolo 152 del Tuir.

La cancellazione del principio della forza di attrazione della stabile organizzazione si è reso necessario in quanto era contrario agli orientamenti Ocse nonché contrapposto alle disposizioni contenute nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni aderenti al modello Ocse e affermati dall’articolo 7 dello stesso modello Ocse secondo cui “gli utili dell’impresa sono imponibili nell’altro Stato ma soltanto nella misura in cui detti utili sono attribuibili alla stabile organizzazione”.

Prima di questa modifica normativa, infatti, il combinato disposto degli articoli 151 e 152 del Tuir si traduceva nella attrazione al reddito d’impresa dei soggetti IRES non residenti anche di quelle componenti di reddito che appartengono in realtà ad altre e diverse categorie: ne derivava perciò che al reddito d’impresa della stabile organizzazione venivano attratti redditi che non erano affatto prodotti attraverso l’uso di risorse della stabile organizzazione o per via del suo reale intervento. Così, al reddito complessivo prodotto dalla stabile organizzazione e sintetizzato nel suo conto economico confluivano, confondendosi con esso, redditi di tutt’altra specie.

Ora, con la riformulazione dovuta al Decreto internazionalizzazione, il reddito d’impresa della società estera è limitato solo a quello prodotto per il tramite della stabile organizzazione esistente in Italia ed “è determinato in base agli utili e alle perdite ad essa riferibili, e secondo le disposizioni della sezione 1, del capo II, del titolo II, sulla base di un apposito rendiconto economico e patrimoniale, da redigersi secondo i principi contabili previsti per i soggetti residenti aventi le medesime caratteristiche”.

In questo modo, il reddito della stabile organizzazione italiana della società estera sarà determinato avuto riguardo esclusivamente a utili e perdite ad essa riferibili, mentre saranno esclusi utili e perdite derivanti da altre fonti.

Questa impostazione, come detto, è coerente con la disciplina vigente in ambito OCSE, e precisamente con l’articolo 7 del Modello di Convenzione contro le doppie imposizioni, secondo cui la potestà impositiva dello Stato della fonte non si estende agli utili che l’impresa produce in tale Stato al di fuori dell’ambito della stabile organizzazione, così che quest’ultima non esercita alcuna particolare forza attrattiva.

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