10 Agosto 2019

Sovraindebitamento: liquidazione del patrimonio anche solo con redditi futuri

di Massimo Conigliaro
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La procedura di liquidazione del patrimonio prevista dalla L. 3/2012 in tema di sovraindebitamento può essere esperita anche in assenza di beni da liquidare, facendo affidamento soltanto sui redditi futuri del debitore.

È questo il principio espresso dal Tribunale di Pordenone, in composizione collegiale, il 14 marzo 2019 in accoglimento del reclamo proposto.

La questione, tuttora dibattuta in giurisprudenza, è di notevole rilevanza nell’ambito delle procedure di sovraindebitamento, in quanto gli articoli 14-ter e seguenti L. 3/2012 non offrono indicazioni precise.

È noto che la procedura di liquidazione rappresenta un ulteriore strumento di soddisfacimento dei creditori del soggetto non fallibile, delineato come procedimento esecutivo-espropriativo d’indole concorsuale, avente ad oggetto l’intero patrimonio del debitore, fatta eccezione dei beni espressamente esclusi.

La disciplina è strutturata al pari di una tradizionale procedura fallimentare, articolandosi nelle fasi dell’apertura, dell’inventario dei beni, della formazione dello stato passivo ed infine dell’esdebitazione.

Oggetto della liquidazione sono tutti i beni del debitore, compresi gli accessori, le pertinenze e i frutti prodotti dai beni ad eccezione di quelli personali.

Fanno parte del patrimonio della liquidazione anche i beni sopravvenuti nei quattro anni successivi al deposito della domanda di liquidazione, dedotte le passività incontrate per l’acquisto e la conservazione dei beni medesimi.

Ai sensi dell’articolo 14-ter, comma 6, L. 3/2012 alcune categorie di beni non sono comprese nella liquidazione.

Si tratta dei crediti impignorabili ai sensi dell’articolo 545 c.p.c., dei crediti aventi carattere alimentare e di mantenimento, degli stipendi, delle pensioni, dei salari e di ciò che il debitore guadagna con la sua attività, sia pure nei limiti di quanto occorra al mantenimento suo e della sua famiglia indicati dal giudice, dei frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli, dai beni costituiti in fondo patrimoniale e dei frutti di essi, salvo quanto disposto dall’articolo 170 cod. civ., dalle cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge.

Nel caso affrontato dal Tribunale di Pordenone, la parte ricorrente – che aveva contratto debiti quale esercente l’attività di distribuzione di carburanti (nel frattempo cessata) – presentava istanza di liquidazione dei propri beni, dichiarando di voler ristrutturare il debito destinando la quota disponibile del proprio stipendio di lavoratore dipendente.

Evidenziava inoltre di non avere altri beni, né mobili né immobili.

Il Tribunale di Pordenone, in composizione monocratica quale giudice del sovraindebitamento (Est. Dall’Armellina), dichiarava inammissibile il ricorso con decreto del 26.09.2018 (dep. 2.10.2018), “in quanto la proposta di liquidazione di tutti i beni del debitore presuppone all’evidenza che vi sia un patrimonio da liquidare”; ciò in consapevole dissenso con altra giurisprudenza, citata nel provvedimento (Tribunale di Milano 16.11.2017 e Trib. Rovigo) dalla quale però il giudice friulano ha ritenuto di discostarsi.

Nella fattispecie – si legge nel decreto – non vi erano benidi qualsiasi specie da esitare, limitandosi al ricorrente a mettere a disposizione una parte (non elevata) del proprio stipendio per un periodo di quattro anni offendo ai creditori il pagamento nella misura del 10-15%. Aggiungeva che, peraltro, il contratto di lavoro dell’istante era a tempo determinato e ciò non garantiva il pagamento per l’intero periodo della liquidazione.

In sede di reclamo, la parte debitrice eccepiva che era del tutto ammissibile la procedura ex art.icolo 14 ter L. 3/2012 anche in assenza di beni da liquidare e in presenza del solo reddito, e che, in ordine all’asserita precarietà del rapporto di lavoro della debitrice, l’articolo 14 ter L. 3/2012 non prevedeva tra i requisiti di ammissibilità della procedura “l’effettuazione di un giudizio prognostico circa il futuro soddisfacimento dei creditori”, valutazioni semmai oggetto di una successiva valutazione nel procedimento volto ad ottenere il beneficio della liberazione dei debiti residui regolato dall’articolo 14 terdecies L. 3/2012.

Aggiungeva, poi, che la presenza di un reddito certo al momento della domanda non era un requisito di ammissibilità della procedura posto che durante i quattro anni della stessa è possibile che il soggetto richiedente integri le proprie entrate.

Il Tribunale di Pordenone, in composizione collegiale (Pres. Tenaglia, est. Bolzoni) con pronuncia del 14.03.2019, ha ritenuto di poter superare la soluzione negativa supportata da una interpretazione letterale dell’articolo 14 ter L. 3/2012, secondo la quale la norma fa specifico riferimento alla presenza di beni mobili e immobili da liquidare in assenza dei quali verrebbe meno la stessa ragione dell’istituto (istituto che prevede, tra l’altro, la nomina di un liquidatore proprio al fine di alienare i beni del debitore e soddisfare i creditori, operazioni del tutto superflue per somme già liquide e trasferibili).

A sostegno della tesi viene addotta la circostanza che nella nozione di “beni” di cui all’articolo 810 cod. civ. possano rientrare anche le somme di denaro, nonché:

  • il fatto che l’articolo 14 ter, comma 6, lett. b), L. 3/2012 esclude dalla liquidazione i redditi da stipendi e pensioni solo nei limiti di quanto occorre al mantenimento proprio e della propria famiglia;
  • il fatto che nel patrimonio da liquidare rientreranno ex articolo 14 undecies 3/2012 anche i crediti eventualmente sopravvenuti nel quadriennio successivo al deposito della domanda di ammissione alla procedura così da far rientrare all’interno del patrimonio del debitore ogni somma idonea a soddisfare i creditori;
  • il fatto che, in difetto di beni da alienare, permane comunque l’utilità del liquidatore, posto che allo stesso è demandato anche il compito di accertamento dei crediti, riconoscimento dei diritti di prelazione e predisposizione dei piani di riparto al fine di soddisfare i creditori;
  • il fatto che l’articolo 14 quater L. 3/2012 preveda che la risoluzione dell’accordo o la revoca del piano del consumatore consentano la conversione di tali istituti nella procedura di liquidazione, così da desumersi che la procedura liquidatoria sia la più ampia e contenitiva tra procedure previste dalla L. 3/2012;
  • il fatto che il legislatore abbia tenuto distinti i profili di ammissibilità della procedura con quelli di ammissibilità della esdebitazione posto che la valutazione meritoria non è stata presa in considerazione quale condizione di ammissibilità della procedura di liquidazione ma solo quale presupposto per la successiva concessione della eventuale esdebitazione.

Il collegio ha quindi accolto il reclamo proposto, revocato il decreto di inammissibilità e trasmesso gli atti al giudice designato per un nuovo pronunciamento.