7 Maggio 2014

Si prescrive in dieci anni dalla chiusura del c/c l’azione di ripetizione di indebito degli interessi anatocistici capitalizzati trimestralmente

di Luigi Ferrajoli
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La Corte di Cassazione con la sentenza n. 4518 del 26/02/2014, torna sul tema dell’anatocismo bancario, ed in particolare sul decorso del termine di prescrizione dell’azione di ripetizione di quanto indebitamente versato a titolo di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi.

La questione della ripetibilità di quanto corrisposto alle banche a titolo di interessi su interessi, c.d. anatocismo, è oramai da più di un decennio tema di notevole interesse ed attualità, in quanto sono molti i procedimenti instaurati, a tal fine, da quando con la sentenza n. 2374/1999 la Corte Costituzionale sottopose a revisione critica il tradizionale orientamento che ammetteva la capitalizzazione trimestrale degli interessi in forza delle norme bancarie uniformi predisposte dall’associazione di categoria (ossia emanate dall’A.B.I.), chiarendo che tali norme avevano natura esclusivamente pattizia.

L’art. 1283 Cod.Civ. ammette la produzione di interessi su interessi in ipotesi limitate ed a particolari condizioni, a meno che non sussistano “usi contrari” di natura esclusivamente normativa. Secondo il citato risalente orientamento, sposato sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, le “Norme Bancarie Uniformi dell’ABI” erano considerate usi normativi in forza dei quali le banche praticavano la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori e annuale per quelli creditori, trattamento chiaramente sbilanciato in favore delle banche.

Da allora, il legislatore è intervenuto normativamente, anche al fine di limitare i “danni” economici derivanti alle banche da tale pronuncia, riconoscendo e disciplinando le modalità di produzione di ulteriori interessi su quelli capitalizzati.

La Corte di Cassazione, nondimeno, con una serie di pronunce successive ha sanzionato le non equivalenti condizioni che le banche applicavano prima del 1999 e successivamente, per la violazione di condizioni di reciprocità nella capitalizzazione, in particolare accogliendo le richieste di ripetizione delle somme versate in eccesso rispetto a quanto legittimamente dovuto.

Il caso trattato nella recente sentenza del 2014 ha ad oggetto il termine di prescrizione della richiesta di rifusione delle somme derivanti dalla capitalizzazione trimestrale, il cui decorso, a fronte del pacifico riconoscimento del diritto di ripetizione, inizia non in tutti i casi dal versamento delle somme nel c/c.

In particolare qualora nel corso del rapporto siano stati effettuavi versamenti come nel caso trattato, occorre distinguere gli stessi a seconda della natura ripristinatoria o solutoria, in applicazione dei principi già statuiti sul tema dalla Suprema Corte nella sentenza n. 24428 del 2010 secondo la quale: “L’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetto all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Infatti, nell’anzidetta ipotesi ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacché il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del “solvens” con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell’”accipiens”.”

La natura ripristinatoria dei versamenti, secondo i Giudici, si presume, per cui una diversa finalizzazione dei singoli versamenti (o solo di alcuni) deve essere in concreto provata da parte di chi intende far decorrere la prescrizione dalle singole annotazioni delle poste, sostanzialmente dalla banca.

I Supremi giudici ritengono tali conclusioni valevoli anche in relazione alle commissioni di massimo scoperto, la cui natura non si discosta da quella degli interessi anatocistici, essendo entrambi destinati a remunerare la banca dei finanziamenti erogati.

La sentenza impugnata dinanzi alla Corte è stata quindi cassata con rinvio in applicazione dei predetti principi.

In ultimo, giova ricordare che, una parola definitiva – almeno per il momento – sulla possibilità di prevedere clausole anatocistiche in materia bancaria, è stata pronunciata dal legislatore che con la legge di Stabilità per il 2014 ha modificato l’art. 120 del T.U.B. nel senso di vietare in ogni caso che gli interessi periodicamente capitalizzati possano produrre ulteriori interessi.