24 Maggio 2016

Sequestro preventivo non superiore all’importo confiscabile

di Luigi Ferrajoli
Scarica in PDF

La Corte di Cassazione, sezione III penale, con sentenza n. 3547/2016 ha statuito che: “ai fini dell’individuazione del superamento o meno della soglia di punibilità di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, spetta esclusivamente al giudice penale il compito di procedere all’accertamento e alla determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche ad entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario”.

Con tale decisione la Corte conferma l’ordinanza con cui il Tribunale del riesame di Napoli disponeva il sequestro preventivo per equivalente dei beni immobili, mobili registrati e mobili, nonchè delle somme di denaro depositate sui conti correnti od altri rapporti finanziari di proprietà o comunque nella disponibilità dell’indagata, ricorrente nel giudizio di Cassazione.

Il procedimento penale trae origine da una verifica fiscale eseguita nei confronti di una società di capitali; in assenza dell’esibizione dei registri contabili obbligatori e delle bollette degli acquisti effettuati, la polizia giudiziaria aveva utilizzato ai fini della ricostruzione del reddito della società il metodo induttivo.

La socia ricorrente eccepiva con il ricorso in Cassazione di dover rispondere del delitto ipotizzato in concorso soltanto perché socia della “S.R.L.”, nonostante non avesse mai ricoperto la carica di amministratore né tantomeno alcun ruolo decisionale all’interno della società.

Viepiù, nel caso di specie non apparirebbe in alcun modo comprovato che la ricorrente avesse conseguito il profitto illecito del reato, e dunque mancherebbe il presupposto fondamentale per il sequestro preventivo, perché non risulterebbe concretamente dimostrato alcun effettivo ruolo in capo alla ricorrente, quanto meno in termini di spartizione degli utili societari. Inoltre, prosegue la difesa dell’imputata, il provvedimento di sequestro contrasterebbe con l’orientamento giurisprudenziale che richiede, ai fini del sequestro per equivalente, la necessità di un accertamento sull’effettiva realizzazione dell’evasione di imposta.

Inoltre, a parere della difesa, non potrebbe farsi ricorso alla presunzione tributaria prevista per le indagini finanziarie ai fini dell’accertamento della configurabilità della reato di omessa dichiarazione, spettando al giudice penale la determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, procedendo d’ufficio ai necessari accertamenti; per tale ragione il pubblico ministero avrebbe dovuto concretamente indicare sia i beni da sottoporre al sequestro, sia in che misura il sequestro andasse disposto rispetto ai singoli indagati; a tal fine, rileva la ricorrente come l’ordinanza, nel disporre la confisca per l’intera somma alla luce dello stralcio delle posizioni degli indagati, avrebbe di fatto cagionato un’inevitabile duplicazione degli importi costituenti il profitto del reato, poiché, in caso di accoglimento dell’appello del pubblico ministero per quanto concerne la posizione del coindagato, si rischierebbe di sequestrare due volte per ciascun indagato fino al raggiungimento della medesima cifra ovverosia una sproporzione tra i singoli indagati, atteso che un’infruttuosa escussione dei beni dell’uno si ripercuoterebbe sull’intero patrimonio dell’altro che sarebbe sottoposto a sequestro.

Infine, la ricorrente censura un’evidente sproporzione tra il valore economico dei beni da sottoporre al sequestro ed una inevitabile eccedenza rispetto al complessivo ammontare.

La Suprema Corte, nel convalidare il sequestro disposto dal Tribunale, ne condivide la decisione sul presupposto che: “ai fini del superamento della soglia di punibilità del reato di omessa dichiarazione, la giurisprudenza di questa Corte ritiene che il giudice possa legittimamente avvalersi dell’accertamento induttivo compiuto dagli uffici finanziari per determinare l’imponibile, soprattutto quando le scritture contabili imposte dalla legge non siano state regolarmente tenute”. Circa le altre doglianze, la Corte conferma l’attribuzione alla ricorrente del ruolo di “amministratore di fatto” effettuata dal giudice del riesame e, circa la necessità di procedere dapprima alla confisca diretta e solo successivamente a quella per equivalente, conclude che nel caso di specie non era soddisfatta la condizione secondo la quale: “al fine di poter disporre la confisca diretta del profitto nei confronti della persona giuridica è pur sempre necessario che risulti la disponibilità nelle casse societarie di denaro da aggredire, non sussistendo un obbligo per la Pubblica Accusa di dover provvedere alla preventiva ricerca di liquidità o cespiti anche nel caso in cui risulti “ex actis” l’incapienza del patrimonio dell’ente”.

Infine, con riguardo alla misura del provvedimento sono ribaditi i principi secondo i quali: “il giudice che emette il provvedimento ablativo è tenuto soltanto ad indicare l’importo complessivo da sequestrare, mentre la predetta individuazione e la richiamata verifica sono riservate alla fase esecutiva demandata al pubblico ministero” e “il sequestro per equivalente debba essere disposto sino alla concorrenza dell’importo pari all’intero ammontare delle imposte evase”.