14 Marzo 2019

Senza immissione in libera pratica la merce resta extra-unionale

di Marco Peirolo
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La posizione doganale di “merci unionali” è riconosciuta solo alle merci che siano state oggetto delle procedure per l’immissione in libera pratica nel territorio doganale dell’Unione.

Ne discende che le Autorità doganali possono presumere che le merci siano state introdotte irregolarmente nel territorio dell’Unione se l’importatore non è in grado di dimostrare il regolare espletamento delle formalità in dogana. In tal caso, sorge sia l’obbligazione doganale all’importazione, sia l’obbligo di assolvere l’Iva all’importazione.

Con questa conclusione, resa nella sentenza di cui alla causa C-643/17 del 7 marzo 2019 (Suez II Water Technologies & Solutions Portugal Unipessoal), la Corte di giustizia ha fornito la propria interpretazione dell’articolo 313 Regolamento CEE 2454/1993 (Regolamento di applicazione del Codice doganale comunitario), che, al par. 1, dispone che “tutte le merci che si trovano sul territorio doganale della Comunità sono considerate merci comunitarie, tranne quando si accerti che non hanno posizione comunitaria”.

La norma prosegue, al par. 2, stabilendo che non si considerano merci comunitarie, salvo che la loro posizione comunitaria venga debitamente accertata:

  • le merci introdotte nel territorio doganale della Comunità, sottoposte, fin dalla loro introduzione, a vigilanza doganale;
  • le merci che si trovano in custodia temporanea, oppure in una zona franca o in un deposito franco;
  • le merci vincolate ad un regime sospensivo.

Nella fattispecie in esame, l’importatore non è stato in grado di esibire la documentazione relativa all’espletamento delle formalità relative all’immissione in libera pratica delle merci di provenienza extra-comunitaria, sicché le Autorità doganali – alla luce del citato articolo 313, par. 2, del Regolamento di applicazione – hanno ritenuto che le medesime non potessero considerarsi come merci comunitarie, con la conseguenza che la loro irregolare introduzione nel territorio comunitario comporta la nascita dell’obbligazione doganale all’importazione, ai sensi dell’articolo 202, par. 1 e 2, del Codice doganale, e del contestuale obbligo di assolvere l’Iva all’importazione, ex articolo 71, par. 1, della Direttiva 2006/112/CE.

L’intervento della Corte è diretto a stabilire la portata della presunzione generale prevista dal par. 1 dell’articolo 313 in rapporto alle eccezioni di cui al successivo par. 2 dello stesso articolo 313.

Nel caso di specie, assume rilevanza l’analisi dell’ambito applicativo della deroga relativa alle merci introdotte nel territorio comunitario che siano sottoposte, fin dalla loro introduzione, a vigilanza doganale.

La vigilanza, definita dal Regolamento CEE 2913/1992 (Codice doganale comunitario), si protrae per tutto il tempo necessario per determinare la posizione doganale delle merci non comunitarie, oppure finché le stesse non siano introdotte in una zona franca o in un deposito franco, ovvero fino a quando non vengano riesportate o distrutte.

La giurisprudenza della Corte europea ha evidenziato che le merci non comunitarie sono soggette a vigilanza a partire dalla loro introduzione nel territorio dell’Unione anche se avvenuta irregolarmente, nel senso indicato dall’articolo 202, par. 1, del Codice doganale, vale a dire senza presentare le merci in dogana, cosicché le Autorità non sono state informate dell’avvenuta introduzione e, quindi, non sono stati adempiuti gli obblighi di deposito di una dichiarazione sommaria o di presentazione della dichiarazione doganale, indispensabile per assegnare alle merci in oggetto una destinazione doganale (causa C-195/03 del 3 marzo 2005, Papismedov e a. e causa C-459/07 del 2 aprile 2009, Elshani).

Le considerazioni esposte hanno indotto i giudici dell’Unione ad affermare che “qualsiasi società che (…) detenga all’interno dei suoi locali, ubicati nel territorio doganale dell’Unione, talune merci acquistate da società stabilite in paesi terzi, deve, in quanto persona interessata alle pertinenti operazioni effettuate nell’ambito degli scambi di merci (…) poter dimostrare che dette merci sono state presentate ad un ufficio doganale dell’Unione e che una dichiarazione sommaria è stata effettuata a detto ufficio doganale oppure che le formalità necessarie per assegnare alle merci in questione una destinazione doganale sono state compiute. Qualora detti obblighi non siano stati rispettati, si deve considerare che ha avuto luogo un’«irregolare introduzione nel territorio doganale della Comunità di una merce soggetta a dazi all’importazione», ai sensi dell’articolo 202, paragrafo 1, lettera a), del codice doganale”.

Nella fattispecie oggetto di controversia, spettava, pertanto, all’importatore fornire la prova della posizione doganale delle merci in questione. Non essendo stata dimostrato lo status comunitario delle merci, le Autorità doganali hanno legittimamente ritenuto che le stesse fossero state irregolarmente introdotte nel territorio comunitario, con la conseguente e contestuale insorgenza dell’obbligazione doganale all’importazione e dell’obbligo di assolvere l’Iva all’importazione.

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