22 Marzo 2023

Scissione: limiti al riporto delle perdite fiscali, delle eccedenze Ace e degli interessi passivi indeducibili

di Fabio Giommoni
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La scheda di FISCOPRATICO

Le limitazioni al riporto delle perdite fiscali (articolo 84 Tuir), delle eccedenze Ace (articolo 1, comma 4, D.L. 201/2011) e delle eccedenze di interessi passivi indeducibili (articolo 96, comma 5, Tuir), previste per la fusione, rilevano anche per la scissione, in quanto l’articolo 173, comma 10, Tuir opera un rinvio al comma 7 dell’articolo 172, precisando che si devono applicare alla società scissa le disposizioni riguardanti le società fuse o incorporate e alle beneficiarie quelle riguardanti la società risultante dalla fusione o incorporante, nonché che occorre avere riguardo all’ammontare del patrimonio netto quale risulta dall’ultimo bilancio o, se inferiore, dal progetto di scissione di cui all’articolo 2506 bis cod. civ., ovvero dalla situazione patrimoniale di cui all’articolo 2506 ter cod. civ..

Il comma 7 dell’articolo 172 Tuir, come è noto, prevede una specifica disposizione antielusiva in base alla quale le perdite fiscali pregresse, le eccedenze di interessi passivi indeducibili ex articolo 96 Tuir e le eccedenze Ace, in dote alle società partecipanti alla fusione, possono essere riportate alle seguenti condizioni:

  1. per la parte del loro ammontare che non eccede il patrimonio netto della società che riporta i predetti benefici fiscali, come risultante dall’ultimo bilancio, senza tener conto dei conferimenti e dei versamenti fatti negli ultimi 24 mesi anteriori alla fusione (c.d. “test del patrimonio netto” o “equity test”);
  2. a condizione che dal conto economico della società che riporta i predetti elementi fiscali, relativo all’esercizio precedente a quello in cui la fusione è deliberata, risulti un ammontare di ricavi e proventi dell’attività caratteristica e un ammontare delle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, superiore al 40% della media dei due esercizi precedenti (c.d. “test di vitalità” o “vitality test”).

Il mancato superamento di uno dei due citati test comporta l’impossibilità di trasferire in sede di fusione, in modo automatico, le perdite fiscali, le eccedenze di interessi passivi indeducibili e le eccedenze Ace, per cui il contribuente, se intende comunque trasferire detti elementi fiscali, dovrà presentare un’apposita istanza di interpello disapplicativo ai sensi articolo 11, comma 2, L. 212/2000 (c.d. Statuto dei diritti del contribuente), al fine di dimostrare che la società che dispone dei predetti tax assets non sia una c.d. “bara fiscale”, ma che l’operazione di fusione è stata posta in essere secondo finalità diverse da quelle di mera convenienza fiscale.

La specifica norma antielusiva è, infatti, diretta ad evitare che attraverso un’operazione di fusione sia realizzato, quale unico o comunque principale scopo, quello di trasferire perdite fiscali (eccedenze di interessi passivi indeducibili o eccedenze ACE) da una società che non è più in grado di sfruttarle a società che invece realizza redditi positivi e dunque può utilizzare le perdite acquisite per abbattere il proprio carico fiscale.

Come detto, dette limitazioni sono applicabili anche alla scissione, ma con una importante precisazione in quanto, come osservato anche dalla circolare 9/E/2010, la disciplina di riporto delle perdite fiscali nelle operazioni di fusione, pur rilevando in linea di massima anche per la scissione, deve essere adattata alle particolari caratteristiche di quest’ultima operazione.

Le due operazioni di riorganizzazione aziendale, infatti, presentano differenze significative, atteso che con la fusione si verifica sempre un’aggregazione di soggetti, mentre la scissione comporta, in linea generale, l’operazione opposta, ovvero la “suddivisione” del soggetto scisso.

Solo nel particolare caso di scissione in favore di società beneficiaria preesistente si realizza un’unificazione di soggetti giuridici analoga a quella della fusione.

Pertanto, in primo luogo risulta che per la scissione i predetti limiti di riporto non operano con riferimento alle perdite fiscali (eccedenze di interessi passivi ed eccedenze Ace), sorte antecedentemente alla scissione, che restano nella disponibilità della società scissa (in base al criterio del rapporto proporzionale tra il patrimonio netto contabile che rimane alla scissa e quello che viene trasferito alle beneficiarie, di cui all’articolo 173, comma 4, Tuir), in quanto in tal caso non sussiste il rischio che le perdite possano essere indebitamente compensate con redditi di una diversa società (circolare 9/E/2010 e risposta ad istanza di interpello n. 333/2019).

Dunque, le perdite (e gli altri assets fiscali) che restano nella disponibilità della società scissa non sono sottoposte alla speciale disciplina recata dall’articolo 173, comma 10, Tuir, con la conseguenza che la stessa mantiene in ogni caso il diritto al riporto delle perdite maturate e non trasferite alle beneficiarie.

Inoltre, sempre come confermato dalla circolare 9/E/2010, le citate limitazioni non si applicano alle perdite fiscali (eccedenze di interessi passivi ed eccedenze Ace) che vengono trasferite ad una beneficiaria di nuova costituzione in quanto anche in questo caso non vi sono rischi di compensazione “intersoggettiva” con i redditi di altra società, dato che la beneficiaria è una “newco” e il suo patrimonio proviene unicamente dalla scissa (risposta ad interpello n. 111 del 2022), per cui non è ravvisabile alcun potenziale effetto elusivo.

In definitiva, la disciplina di limitazione al riporto di perdite fiscali pregresse, eccedenze di interessi passivi e eccedenze Ace, nella scissione si applica:

  • solo nel caso di società beneficiaria preesistente (perché solo in tale ipotesi sussiste la possibilità, analoga a quella ottenibile nella fusione, di compensazione intersoggettiva);
  • con riferimento alla beneficiaria preesistente, a tutte le proprie perdite (eccedenze Ace e di interessi passivi);
  • con riferimento alle sole perdite (eccedenze Ace e di interessi passivi) della scissa trasferite alla beneficiaria (e non anche a quelle che rimangono in capo alla scissa).

Ma proprio nel caso di scissione in favore di società preesistente si pone il problema di come applicare il test di vitalità sulla scissa, in quanto solo una parte del patrimonio di detta società è trasferito alla beneficiaria. In particolare, il predetto test va riferito all’intera attività della scissa o solo al compendio trasferito alla beneficiaria?

In passato la circolare 9/E/2010aveva precisato che il test di vitalità doveva essere effettuato con riferimento all’intera attività della società scissa.

Invece, la più recente circolare 31/E/2022, modificando la soluzione operativa indicata dalla circolare 9/E/2010, ha sostenuto che il test di vitalità deve essere effettuato in capo al solo compendio che costituisce oggetto di scissione, sia quando questo integri un ramo di azienda, sia quando questo sia composto da asset singoli o collettivi, comunque non integranti un’azienda o un suo ramo.

In base ai chiarimenti della circolare 31/E/2022 risulta dunque corretto il seguente schema di applicazione della disciplina di limitazione al riporto degli assets fiscali nella scissione di cui al comma 10 dell’articolo 173, Tuir:

  • nel caso in cui per effetto della scissione sia trasferito un ramo d’azienda alla beneficiaria (che, come detto, deve essere non “newco”), il test di vitalità andrà calcolato secondo i parametri espressamente previsti dagli articoli 172 e 173 del Tuir, avendo riguardo ai (soli) dati contabili relativi al ramo d’azienda oggetto di scissione;
  • nel caso in cui per effetto della scissione siano trasferiti alla beneficiaria (non “newco”) beni non integranti un ramo d’azienda, considerata l’oggettiva inesistenza dei dati contabili indicati dal comma 7 dell’articolo 172 Tuir relativi agli asset trasferiti, occorre individuare criteri alternativi (come, ad esempio, la presenza di plusvalori latenti nei beni trasferiti) che siano rappresentativi, nel contempo, sia della vitalità del compendio scisso e sia della sua capacità di riassorbire le posizioni fiscali soggettive trasferite alla società beneficiaria per effetto dell’applicazione del criterio di cui all’articolo 173, comma 4, Tuir.

La soluzione indicata dalla circolare 31/E/2022 appare la più corretta perché tiene conto del fatto che la vitalità economica debba sussistere soltanto in capo al compendio che è effettivamente oggetto di trasferimento in capo alla beneficiaria preesistente e inoltre perché considera anche il caso (peraltro frequente) in cui il ramo scisso non è rappresentato da un’azienda, ma da singoli beni (ad esempio immobili o partecipazioni).

Tuttavia, tale soluzione può risultare problematica sul piano pratico in quanto, in presenza di una scissione di ramo d’azienda, sarà necessario, al fine di applicare il test di vitalità economica, “estrapolare” un conto economico di tale ramo, almeno fino al risultato operativo, e ciò potrebbe risultare un’operazione gravosa soprattutto per le piccole/medie società, che non sono dotate di una contabilità analitica.

Invece, nel caso di scissione di singoli beni le complicazioni operative derivano dalla necessità di ricorrere in ogni caso all’apposita istanza di interpello all’Agenzia delle entrate, dato che vengono comunque disapplicati i criteri di vitality test previsti dall’articolo 172, comma 7, Tuir, in favore dei criteri alternativi incentrati sulla prova della capacità reddituale prospettica del patrimonio scisso di generare redditi imponibili futuri sufficienti ad assorbire le perdite pregresse oggetto di trasferimento unitamente al compendio scisso.

Nel caso di un patrimonio scisso composto da beni immobili tale dimostrazione potrebbe essere fornita sulla base della presenza di significativi canoni di locazione che derivano dall’affitto di tali beni, o dell’esistenza di plusvalenze latenti, rispetto al valore contabile-fiscale, che emergeranno al momento della vendita degli immobili.