23 Febbraio 2019

Rivalutazione quote inefficace per il recesso tipico

di Sandro Cerato - Direttore Scientifico del Centro Studi Tributari
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Anche la rideterminazione del costo di acquisto delle partecipazioni possedute dalle persone fisiche alla data del 1° gennaio 2019 non rileva nel caso di recesso tipico del socio dalla società, in quanto rilevante ai soli fini del capital gain.

Come noto, la Legge di bilancio 2019 (articolo 1, commi 1053 e 1054, L. 145/2018) ha riproposto per l’ennesima volta la possibilità, in capo alle persone fisiche, di rivalutare le quote di partecipazione in società non quotate ed i terreni posseduti alla data dell’1.1.2019, a condizione che entro il prossimo 30 giugno 2019 sia redatta ed asseverata una perizia di stima (da parte di soggetto abilitato) e che sia versata (almeno) la prima rata dell’imposta sostitutiva dovuta.

In merito a tale aspetto il legislatore ha previsto un incremento dell’imposta sostitutiva dovuta (sull’intero valore rivalutato), ed in particolare stabilendo che tale imposta è fissata nelle seguenti misure:

11% (in precedenza 8%) per le partecipazioni qualificate;

10% (in precedenza 8%) per le partecipazioni non qualificate e per i terreni.

È opportuno osservare che, nonostante la Legge di bilancio 2018 abbia eliminato la distinzione tra partecipazioni qualificate e non qualificate ai fini della misura dell’imposta dovuta in caso di cessione (capital gain), prevedendo in ogni caso, a partire dalle cessioni perfezionate dal 1° gennaio 2019, un’imposta sostitutiva del 26%, la rivalutazione delle partecipazioni mantiene la distinzione, per la misura dell’imposta dovuta, tra qualificate e non qualificate.

Ciò che tuttavia è rilevante ricordare è l’effetto della rivalutazione, e più precisamente che il valore indicato nella perizia (e su cui è stata versata l’imposta) costituisce il nuovo costo fiscale della partecipazione in caso di successiva cessione da parte del possessore.

In altre parole, la rivalutazione in questione porta alla determinazione di un nuovo costo di acquisto della partecipazione ai soli fini della determinazione della plusvalenza rilevante ai sensi degli articoli 67 e 68 Tuir.

Come noto, infatti, la cessione di una partecipazione da parte di una persona fisica, al di fuori di un’attività d’impresa, genera reddito diverso pari alla differenza tra corrispettivo percepito e costo di acquisto (che corrisponde a quello rivalutato per coloro che aderiscono a tale opportunità).

Tuttavia, potrebbe accadere che un socio esca dalla compagine sociale ottenendo la liquidazione del valore della sua quota da parte della società stessa (recesso), con la conseguenza che il reddito ottenuto non rientra tra quelli diversi, bensì costituisce reddito di capitale ai sensi dell’articolo 47, comma 7, Tuir.

Secondo tale disposizione, infatti, “le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci in caso di recesso, di esclusione, di riscatto e di riduzione del capitale esuberante o di liquidazione anche concorsuale delle società ed enti costituiscono utile per la parte che eccede il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate“.

In tale ipotesi, l’eventuale rivalutazione della quita da parte del socio receduto non avrebbe effetto ai fini della determinazione del reddito di capitale (dividendo) riveniente dalla fuoriuscita dalla società, con conseguente incremento del reddito soggetto a tassazione.

Tale aspetto va quindi valutato con attenzione da parte di quei soci che, avendo rivalutato la quota di partecipazione, intendono svincolarsi dal rapporto sociale, nel qual caso la convenienza (ai fini fiscali) è certamente a favore della cessione della quota (anche a favore degli altri soci) e non nel recesso con liquidazione della quota da parte della società (e conseguente decremento del patrimonio sociale).

In tale ultimo caso, infatti, il costo fiscale della partecipazione da contrapporre al valore preso a riferimento per il recesso non tiene conto dell’avvenuta rivalutazione.

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