18 Giugno 2021

Rivalutazione beni in leasing con dubbi sul test di operatività

di Fabio Garrini
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La scheda di FISCOPRATICO

Tra i risvolti meno graditi di una rivalutazione con effetti fiscali deve annoverarsi anche l’ipotesi per cui il maggior valore fiscalmente riconosciuto possa assumere valore ai fini del test di operatività per l’applicazione della disciplina delle società di comodo prevista dall’articolo 30 L. 724/1994.

Con riferimento ai beni in leasing si pongono diverse questioni, legate prima di tutto alla rilevanza o meno del valore rivalutato; occorre inoltre chiedersi quale sia il valore rilevante ai fini del calcolo se la rivalutazione portasse il costo di iscrizione del bene ad un livello più basso rispetto al costo del concedente precedentemente utilizzato per il calcolo.

Il caso, pur se molto frequente, non risulta essere stato affrontato dall’Amministrazione Finanziaria, lasciando aperti diversi interrogativi.

 

Beni in leasing e test di operatività

La circolare 25/E/2007 chiarisce come debba essere condotto il calcolo del test di operatività per i beni in leasing, specificando che per i beni in locazione finanziaria si assume il costo sostenuto dall’impresa concedente ovvero, in mancanza di documentazione, la somma delle quote capitali relative ai canoni di locazione e il prezzo di riscatto.

Il citato documento afferma peraltro che “tale valore [ossia il costo sostenuto dal concedente, n.d.a] dovrà essere preso in considerazione, al fine di equiparare il trattamento dei beni acquisiti in proprietà con quello dei beni in locazione finanziaria, anche nell’ipotesi in cui sia stata esercitata l’opzione del riscatto.”

Pertanto, quando l’utilizzatore ha esercitato l’opzione di acquisto insita nel contratto di locazione finanziaria e il bene risulta iscritto al prezzo di riscatto, ai fini del test di operatività esso rileva per il costo sostenuto dal concedente.

Conseguentemente, deve considerarsi irrilevante il prezzo di riscatto sostenuto e quindi contabilizzato nell’attivo patrimoniale; tale importo deve essere sottratto dal totale dei beni strumentali ai fini del test di operatività.

Su tale aspetto si rinvia al precedente contributoPer il test di operatività attenzione ai beni in leasing riscattati”.

 

La rivalutazione dei beni in leasing

Veniano al tema che in questa sede si intende considerare, ossia l’impatto sul test di operatività della rivalutazione di un bene, aspetto centrale nelle valutazioni di opportunità circa l’innesco della disciplina contenuta nel D.L. 104/2020, in particolare con riferimento alle società di gestione immobiliare che tradizionalmente “lottano” per cercare di superare il severo test di operatività.

Prima di tutto occorre ricordare che la rivalutazione è possibile sono nel caso in cui il bene sia stato oggetto di riscatto entro il 31 dicembre 2019, in modo tale da rispettare il requisito dell’iscrizione del bene nel bilancio precedente quello in cui la rivalutazione è operata (sul punto si veda la posizione espressa dall’Agenzia delle Entrate nella circolare 14/E/2017).

La prima questione che si pone è legata alla necessità o meno di utilizzare, per il test di operatività, il valore rivalutato: se questo assume rilevanza in luogo del costo storico per i beni in proprietà, deve valere anche per i beni riscattati.

Quindi, il valore rivalutato dovrà sostituire, a tal fine, il costo per il concedente.

Se il primo è pari o superiore al secondo, non si pongono particolari problemi.

La questione più delicata, in realtà, è quella legata ad una rivalutazione ad un valore inferiore rispetto al costo sostenuto dal concedente, in quanto la rivalutazione rischia di trasformarsi in uno strumento per ridurre surrettiziamente il valore da prendere a riferimento per il test di operatività.


Per affrontare il tema ipotizziamo un caso concreto:

  • costo del concedente pari ad euro 500.000
  • bene riscattato nel 2019 ad euro 10.000
  • valore periziato al 31.12.2020 per euro 300.000, valore utilizzato per la rivalutazione
  • si assume, per semplicità di analisi, che il fondo ammortamento sia pari a zero.

In un caso di questo tipo si porrà il dubbio se per il calcolo del test di operatività si dovrà continuare ad utilizzare il costo sostenuto dal concedente (500.000 euro) oppure quello oggetto di rivalutazione (300.000 euro); se si propendesse per la seconda ipotesi, la rivalutazione sarebbe un metodo per ridurre il parametro sul quale si verifica l’operatività dell’impresa, il che non pare ammissibile, soprattutto se si intende confrontare tale fattispecie con la situazione speculare del bene acquistato dall’impresa.

Se il bene originariamente fosse stato acquistato anziché oggetto di un contratto di leasing, esso avrebbe un costo storico di 500.000 euro e quello rileverebbe per il test di operatività, non potendosi, attraverso la rivalutazione, mai ottenerne una riduzione ma, al più, un incremento.

Quindi, per simmetria, cercando di trarre una sintesi, potremmo affermare che, in caso di rivalutazione di un bene riscattato, il valore di riferimento per il test di operatività dovrebbe essere:

  • il valore rivalutato nel caso in cui questo fosse pari o superiore al costo del concedente;
  • in caso contrario, occorrerebbe continuare a far riferimento al medesimo costo per il concedente.

Sul tema è evidentemente necessaria una presa di posizione da parte dell’Amministrazione Finanziaria.