4 Giugno 2019

Rivalsa dell’Iva da accertamento preclusa se il cliente è estinto

di Marco Peirolo
Scarica in PDF

L’estinzione del cessionario/committente esclude il diritto del cedente/prestatore di portare in detrazione la maggiore imposta accertata, allorché la stessa verrà versata, a titolo definitivo, all’Erario.

È il chiarimento reso dall’Agenzia delle Entrate nella risposta all’interpello n. 176 del 31 maggio 2019, sull’applicazione dell’articolo 60, comma 7, D.P.R. 633/1972, che – al fine di garantire il rispetto del principio di neutralità nelle ipotesi di pagamento a titolo definitivo della maggiore Iva accertata – riconosce al cedente/prestatore, destinatario dell’avviso di accertamento, la possibilità di esercitarne la rivalsa e al cessionario/committente il diritto di detrarre l’imposta addebitatagli una volta pagata.

Tale disposizione, infatti, dopo la modifica introdotta con il D.L. 1/2012, prevede che “il contribuente ha diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi. In tal caso, il cessionario o il committente può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l’imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione”.

La cessazione dell’attività e la perdita dello status di soggetto passivo da parte del cessionario/committente rendono tecnicamente impossibile, da un lato, l’effettivo esercizio del diritto alla rivalsa da parte del cedente/prestatore che ha versato l’Iva accertata all’Erario e, dall’altro, l’esercizio del diritto alla detrazione da parte del cessionario/committente.

Tuttavia, in ossequio ai principi di neutralità e proporzionalità, si potrebbe ritenere che debba essere riconosciuto al cedente/prestatore che ha versato la maggiore Iva accertata il diritto alla detrazione.

A sostegno di tale assunto, rileverebbe l’indicazione contenuta nella circolare AdE 35/E/2013 (§ 3.5), in cui l’Agenzia delle Entrate, nell’affrontare il tema della rivalsa, a seguito di fusione per incorporazione, dell’Iva accertata nei confronti della società incorporata per prestazioni di servizi rese alla società incorporante, ha chiarito che quest’ultima – se ha versato l’Iva accertata nei confronti della società incorporata, relativa ad operazioni rese nei suoi stessi confronti – può esercitare la detrazione.

Già con la risposta all’interpello n. 84 del 26 novembre 2018, l’Agenzia ha escluso la rivalsa a far data dalla cancellazione del cessionario/committente dal Registro delle imprese ai sensi dell’articolo 2495 cod. civ. che ha comportato l’estinzione societaria definitiva.

Nessuna rilevanza è stata riconosciuta alla circostanza che, per effetto di un’operazione straordinaria di fusione per incorporazione, il soggetto che ha titolo ad effettuare la rivalsa (fornitore incorporante) è venuto a coincidere con quello che la dovrebbe subire (acquirente incorporato), rendendo tecnicamente impossibile l’esercizio della rivalsa dell’Iva accertata nei confronti dell’acquirente dei beni/servizi cui afferisce l’imposta.

Nella citata risposta, è stato infatti evidenziato come l’esclusione della rivalsa discenda dalla natura privatistica della rivalsa di cui all’articolo 60, comma 7, D.P.R. 633/1972 e dal fatto che la stessa inerisca non al rapporto tributario, ma ai rapporti interni tra contribuenti.

D’altronde, in caso di mancato pagamento dell’Iva da parte dell’acquirente del bene/servizio, l’unica possibilità consentita al fornitore per il recupero dell’Iva pagata all’Erario ma non incassata è quella di adire l’ordinaria giurisdizione civilistica.

In più, sempre nella risposta all’interpello n. 84/2018, è stato rilevato che, nello specifico caso in esame, data l’identità della compagine societaria tra la società istante e la cessata acquirente, la scelta di chiudere definitivamente quest’ultima, con preclusione della futura rivalsa, è imputabile alla volontà manifestata dagli stessi soci dell’istante successivamente all’inizio del controllo fiscale.

Inoltre, l’istante ha dichiarato, in sede di documentazione integrativa, di non avere intrapreso, pur avendone facoltà, alcuna azione volta a rendere effettivo il diritto di rivalsa dell’Iva accertata, nei confronti della società cessionaria, con riferimento alle rate versate, nei termini definiti in sede di adesione, neanche nell’arco temporale in cui ne avrebbe avuto facoltà, cioè nel periodo compreso tra la data di perfezionamento dell’adesione e la data degli eventi successivi che hanno condotto alla chiusura della partita Iva e alla cancellazione definitiva della medesima società dal Registro delle imprese.

Sulla base delle predette considerazioni, l’Agenzia delle Entrate ha concluso affermando “che la società istante abbia posto in essere comportamenti incompatibili con la volontà di esercitare la rivalsa facoltativa di cui all’articolo 60, comma settimo, del d.P.R. n. 633/1972, tali da pregiudicarle definitivamente l’esercizio del predetto diritto”.

Con il nuovo documento di prassi, cioè la risposta all’interpello n. 176/2019, l’Agenzia – a fondamento dell’esclusione della rivalsa in capo al cedente/prestatore – considera di per sé sufficiente l’intervenuta estinzione del cessionario/committente, che “fa sì che il diritto di rivalsa, pur astrattamente riconosciuto, debba ritenersi in tale ipotesi non esercitabile”.

Di conseguenza, l’unica possibilità consentita al cedente/prestatore per il recupero dell’Iva pagata all’Erario ma non incassata è quella di adire l’ordinaria giurisdizione civilistica.

Iva nazionale ed estera