18 Ottobre 2016

La risoluzione 93/E definisce i contorni dell’abuso del diritto

di Sergio Pellegrino
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Con la risoluzione 93/E emanata ieri, l’Agenzia delle Entrate, affrontando la norma agevolativa dell’assegnazione dei beni ai soci introdotta dalla Legge di Stabilità 2016, fornisce per la prima volta chiarimenti anche sulla nuova disciplina dell’abuso del diritto.

La situazione sottoposta all’attenzione dell’Agenzia riguarda una società che esercita attività di commercio e rimessaggio di roulotte e camper, utilizzando un terreno di proprietà, un ufficio e un capannone.

La società, intenzionata a cessare l’attività imprenditoriale, ha ricevuto una proposta di acquisto degli immobili, che però risulta difficilmente accettabile, atteso il fatto che il binomio prezzi di mercato bassi e alta tassazione in capo ai soci rende l’opzione non conveniente.

Intenderebbe per questo fruire dell’agevolazione finalizzata all’estromissione degli immobili, che comporta il pagamento dell’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’Irap.

La norma richiede però che gli immobili non siano strumentali per destinazione e quindi utilizzati nel ciclo produttivo dell’impresa che li detiene.

Questa situazione non si verifica per la società istante, che li ha sin qui utilizzati come beni strumentali, ma, essendo la società in procinto di liquidare l’attività, sarebbe intenzionata a non considerarli più come tali, attesa la differente prospettiva.

Così facendo, potrebbe assegnare gli immobili ai soci sulla base del valore di mercato e successivamente i soci potrebbero provvedere alla vendita degli immobili realizzando una plusvalenza imponibile ex articolo 67 Tuir solo sull’eventuale parte di corrispettivo che eccede il valore di assegnazione.

Alla domanda se un’operazione di questo genere possa o meno configurarsi come un’ipotesi di abuso del diritto, ai sensi di quanto disposto dall’articolo 10-bis della legge 212/2000, così come recentemente novellato, l’Agenzia fornisce risposta negativa: l’operazione non si configura, secondo l’interpretazione fornita, in alcun modo come “abusiva”.

Per avere infatti una condotta che si configuri come abuso del diritto devono coesistere tre presupposti, essendo sufficiente che non si verifichi anche uno soltanto dei tre affinché l’operazione debba essere considerata legittima:

  1. la realizzazione di un vantaggio fiscale “indebito”, costituito da “benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario”;
  2. l’assenza di “sostanza economica” dell’operazione o delle operazioni poste in essere consistenti in “fatti, atti e contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali”;
  3. l’essenzialità del conseguimento di un “vantaggio fiscale”.

Nel caso in esame, non si pone il problema del cambiamento di destinazione degli immobili, atteso che nella fase liquidatoria gli immobili di proprietà possono sicuramente beneficiare del regime agevolativo introdotto dalla legge di stabilità 2016.

La successiva cessione degli immobili effettuata dai soci, anche se già pianificata come nel caso di specie, non inficia l’operazione, atteso che la norma agevolativa non l’ha preclusa, e conseguentemente non può far configurare come sindacabile la legittimità del risparmio di imposta realizzato.

Questa conclusione sarebbe giustificata anche alla luce della ratio della norma, che vuole favorire la fuoriuscita degli immobili dalle società quando impiegati in modo non profittevole, anche con l’obiettivo di “vivacizzare” un mercato immobiliare in difficoltà.

Non esistendo quindi alcun indebito vantaggio fiscale, l’operazione non può essere qualificata come abusiva e quindi, mancando il primo dei tre presupposti in precedenza elencati, non occorre andare a verificare la sussistenza degli ulteriori due (assenza di “sostanza economica” e essenzialità del conseguimento di un “vantaggio fiscale”).

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