1 Aprile 2022

Riparto dell’onere della prova nella frode fiscale

di Marco Bargagli
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La scheda di FISCOPRATICO

L’ordinamento tributario nazionale non fornisce una vera e propria definizione di frode fiscale anche se, generalmente, con tale termine ci si riferisce a specifiche condotte di evasione attuate con modalità o comportamenti fraudolenti, ovvero illeciti tributari di tipo “organizzato”.

Rientrano nella nozione di frode fiscale tutte quelle fattispecie di reato sanzionate a livello penale tributario dagli articoli 2 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), 3 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) e 8 (emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) facenti parte del D.Lgs. 74/2000.

A livello normativo, l’ordinamento penale-tributario nazionale prevede infatti:

  • la reclusione da quattro a otto anni nei confronti di chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti indica, in una delle dichiarazioni relative a dette imposte, elementi passivi fittizi (ex articolo 2 D.Lgs. 74/2000). Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono comunque detenuti a fine di prova nei confronti dell’Amministrazione finanziaria. Infine, qualora l’ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a euro centomila, si applica la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni;
  • la reclusione da tre a otto anni nei confronti di chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo ovvero elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi, quando, congiuntamente:
  1. l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro trentamila;
  2. l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al cinque per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque, è superiore a euro un milione cinquecentomila, ovvero qualora l’ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell’imposta è superiore al cinque per cento dell’ammontare dell’imposta medesima o comunque a euro trentamila.

Il fatto delittuoso si considera commesso avvalendosi di documenti falsi quando tali documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono detenuti a fini di prova nei confronti dell’Amministrazione finanziaria (ex articolo 3 D.Lgs. 74/2000);

  • la reclusione da quattro a otto anni chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (ex articolo 8 D.Lgs. 74/2000).

L’emissione o il rilascio di più fatture o documenti per operazioni inesistenti nel corso del medesimo periodo di imposta si considera come un solo reato.

Infine, qualora l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti, per singolo periodo d’imposta, è inferiore a euro centomila, si applica la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni.

In linea con i chiarimenti forniti dalla prassi operativa, possiamo sostenere che:

  • possono integrare il reato, oltre alle fatture, anche gli altri documenti fiscalmente rilevanti (ricevute, note, conti, parcelle, contratti, documenti di trasporto, note di addebito e di accredito);
  • la falsità dei citati documenti rileva sia sul piano oggettivo sia su quello soggettivo.

La fattura è oggettivamente falsa quando documenta operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte.

Di contro si ha una fattura soggettivamente falsa, quando le operazioni documentate sono intercorse tra soggetti diversi da quelli risultanti formalmente quali parti del rapporto (cfr. Manuale in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza volume I – parte I – capitolo 1 “Evasione e frode fiscale”, pag. 10 e ss.).

Importanti chiarimenti in ambito frode fiscale e, in particolare, sul riparto dell’onere della prova, sono stati recentemente diramati dalla suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3144 del 02.02.2022, nella quale è stato ribadito che l’Amministrazione finanziaria deve dimostrare la consapevolezza dell’acquirente di prendere parte ad una frode fiscale.

Già in passato i giudici di legittimità (cfr. Corte di cassazione sentenza n. 2483/2020; Corte di cassazione, sentenza n. 5873/2019) avevano chiaramente affermato che nella particolare ipotesi di frode fiscale mediante utilizzo di fatture soggettivamente inesistenti è onere dell’Amministrazione che contesti il diritto del contribuente a portare in deduzione il costo, ovvero in detrazione l’Iva pagata su fatture emesse da un concedente diverso dall’effettivo cedente del bene o servizio, dare la prova che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapesse o potesse sapere, con l’uso della diligenza media, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione era iscritta in un’evasione o in una frode.

Tale principio è stato nuovamente confermato in apicibus, atteso che i giudici di Piazza Cavour hanno ricordato che in tema di Iva l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente.

Di conseguenza ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi.