19 Maggio 2021

Retrodatazione contabile “allargata” per la fusione

di Fabio Landuzzi
Scarica in PDF
La scheda di FISCOPRATICO

Secondo l’Oic 4 esiste un collegamento diretto fra gli effetti contabili e fiscali (ai fini delle imposte sul reddito) della fusione: la data alla quale può esser fatta risalire la retroattività contabile della fusione “non può essere anteriore a quella di chiusura del precedente esercizio dell’incorporante”, e questo limite l’Oic 4 la trae dal comma 9, dell’articolo 172 Tuir, che è appunto la norma che regola la retroattività fiscale degli effetti della fusione.

Con la richiamata disposizione si afferma che la retrodatazione fiscale non può andare oltre la data in cui si è chiuso l’ultimo esercizio di ciascuna delle società fuse o incorporate, oppure a quella, se più prossima, in cui si è chiuso l’ultimo esercizio della società incorporante.

Secondo l’Oic, la retroattività contabile e quella fiscale della fusione sarebbero così strettamente collegate in quanto il reddito d’impresa si determina in base al risultato economico del bilancio così che, si legge, “se viene pattuita la retroattività contabile (…) automaticamente ciò comporterà anche la retroattività fiscale”.

Tuttavia, lo stesso Oic 4 ricorda che esiste una diversa interpretazione in dottrina secondo cui si potrebbe disporre, nell’atto di fusione, la sola retroattività fiscale degli effetti, senza quella contabile; inoltre, sempre per una certa dottrina, il riferimento compiuto dall’articolo 172, comma 9, Tuir alla data “in cui si è chiuso l’ultimo esercizio”, andrebbe compiuto non alla data intesa come un momento temporale puntuale, bensì all’“esercizio”, così che il limite invalicabile della retrodatazione degli effetti fiscali (e allora, perché no, anche di quelli contabili) non sarebbe più la “datain sé, bensì il fatto che l’“esercizio” a cui si vuole retrodatare gli effetti non abbia un bilancio già approvato, o non siano comunque decorsi i termini per approvare il relativo bilancio.

Cosa significa in concreto questa interpretazione? Che sarebbe allora possibile disporre la retrodatazione degli effetti fiscali sino a comprendere un esercizio per il quale la data di chiusura cade nell’anno precedente a quello in cui la fusione ha effetto “civilistico”, ma per il quale non è stato ancora approvato, o non sono spirati i termini per approvare, il bilancio d’esercizio.

La Massima n. 192 del Consiglio del Notariato di Milano affronta proprio questo argomento e prende una posizione di tutto rilievo.

Si legge nella Massima che la retrodatazione degli effetti contabili della fusione (o scissione) troverebbe “il solo limite dell’avvenuta approvazione, ovvero della scadenza dei termini per l’approvazione, del bilancio (anche di una sola delle società partecipanti alla fusione o alla scissione) dell’esercizio nel quale si vuol far ricadere la data di decorrenza degli effetti contabili”.

Prosegue poi la Massima ritenendo allora possibile “retrodatare gli effetti contabili della fusione (o scissione) a una data che ricada in un esercizio già chiuso, purché non sia ancora stato approvato il relativo bilancio o non siano scaduti i termini per la relativa approvazione”.

La recente Massima n. 192, quindi, arriva a sciogliere quel legame diretto fra la decorrenza degli effetti contabili e degli effetti fiscali della fusione che, come abbiamo visto, contraddistingue invece la linea interpretativa dell’Oic 4.

La via argomentativa condotta nella Massima muove proprio dal riconoscere che la norma fiscale, nel fare riferimento alla “data” in cui si è chiuso l’ultimo esercizio di ciascuna società, andrebbe intesa come voler limitare la retrodatazione degli effetti della fusione ai fini delle imposte sul reddito fino a non oltre il primo giorno dell’esercizio in corso alla “data degli effetti civilistici dell’operazione.

Inoltre, i limiti posti dall’ordinamento tributario alla retrodatazione degli effetti fiscali della fusione non sarebbero efficaci al di fuori del loro contesto, così che sul piano civilistico non sarebbe consentito estendere la portata della norma tributaria.

È piuttosto evidente che, sul piano pratico, lo scollegare la decorrenza degli effetti contabili della fusione da quelli fiscali ha ripercussioni tutt’altro che indifferenti ed aumenta la complessità della gestione.

Sarebbe allora interessante che, prendendo le mosse dalla Massima in commento, sia l’Oic in sede di revisione dell’Oic 4 che l’Amministrazione Finanziaria, si aprissero ad un’interpretazione aderente a questa chiave di lettura della norma, ossia licenziando la retrodatazione “allargata” degli effetti sul piano sia contabile che fiscale, in entrambi i casi con i medesimi limiti posti dall’ordinamento civilistico, evitando inutili complessità e disallineamenti in grado di generare solo rischi di errori e, in ultima analisi, alimentare contenzioso.