11 Aprile 2018

Responsabilità 231 e possibilità di patteggiamento

di Marco Bargagli
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Le disposizioni introdotte nel nostro ordinamento dal D.Lgs. 231/2001 prevedono l’applicazione di specifiche sanzioni a carico delle società, enti o associazioni nell’ambito della disciplina conosciuta, tra gli addetti ai lavori, come responsabilità amministrativa della persona giuridica.

Sotto il profilo soggettivo, la normativa in rassegna opera nei confronti:

  • delle società di capitali;
  • delle società di persone;
  • delle ditte individuali;
  • degli enti forniti di personalità giuridica;
  • delle società estere operanti in Italia;
  • degli enti del terzo settore quali, ad esempio, le organizzazioni di volontariato, le associazioni e gli enti di promozione sociale, gli organismi della cooperazione, le cooperative sociali, le fondazioni, gli enti di patronato e gli altri soggetti privati non a scopo lucrativo (c.d. soggetti no-profit), comprese le associazioni sportive dilettantistiche.

Di contro, le disposizioni previste dal D.Lgs. 231/2001 non operano nei confronti dello Stato, degli enti pubblici territoriali, degli altri enti pubblici non economici, nonché per gli enti che svolgono funzioni di
rilievo costituzionale
.

Ciò posto, in linea con i principi mutuati dal diritto penale, ci si chiede quali siano i criteri di ammissione al patteggiamento per la persona giuridica, ossia la richiesta di applicazione della pena presentata dalla società o dall’ente allo scopo di usufruire delle riduzioni sanzionatorie previste dalla Legge.

Come noto l’articolo 444 c.p.p., rubricato applicazione della pena su richiesta, prevede che l’imputato e il pubblico ministero possono chiedere al giudice l’applicazione, nella specie e nella misura indicata, di una sanzione sostitutiva o di una pena pecuniaria, diminuita fino a un terzo, ovvero di una pena detentiva quando questa, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo, non supera cinque anni soli o congiunti a pena pecuniaria.

Anche l’articolo 63 D.Lgs. 231/2001 prevede una sorta di patteggiamento, con conseguente applicazione della sanzione su richiesta della società o dell’ente.

In particolare, l’applicazione della sanzione su richiesta è ammessa se il giudizio nei confronti dell’imputato è definito, ovvero definibile a norma del citato articolo 444 c.p.p., nonché in tutti i casi in cui per l’illecito amministrativo è prevista la sola sanzione pecuniaria.

In merito, qualora risulti applicabile la sanzione su richiesta, la riduzione della pena di cui all’articolo 444, comma 1, c.p.p. opera anche in caso di responsabilità amministrativa dell’ente, sulla durata della sanzione interdittiva e sull’ammontare della sanzione pecuniaria.

Infatti, come noto, il giudice penale può applicare specifiche sanzioni previste per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato quali, ad esempio:

  • la sanzione pecuniaria;
  • le sanzioni interdittive;
  • la confisca;
  • la pubblicazione della sentenza.

Sullo specifico tema, la Corte di Cassazione – sezione VI° penale – con la sentenza n. 14736 del 30.03.2018, ha chiarito i criteri di ammissione al patteggiamento richiesto da parte di una società.

Prima che la vicenda fosse posta al vaglio del Supremo Giudice di legittimità la Corte di assise di Taranto, con propria ordinanza, aveva rigettato la richiesta di applicazione della pena formulata da parte di una società di capitali in amministrazione straordinaria, rilevando l’insussistenza dei presupposti previsti dall’articolo 63 D.Lgs. 231/2001.

Infatti, a parere del giudice:

  • nessuno degli imputati (persone fisiche) aveva richiesto l’applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 c.p.p., né il procedimento era definibile in tali forme vista l’estrema gravità e pluralità dei reati contestati;
  • gli illeciti amministrativi dipendenti da reato contestati non risultavano puniti in concreto con la sola pena pecuniaria.

Ciò detto, la difesa impugnava il provvedimento in rassegna davanti alla Corte di Cassazione, deducendo l’abnormità strutturale dell’ordinanza, in quanto la stessa da un lato costituiva esercizio di un potere previsto dall’ordinamento, ma dall’altro si poneva completamente al di fuori dello stesso.

Infatti, a parere della ricorrente, la Corte di Assise di Taranto aveva assunto a fondamento della propria decisione una situazione processuale, che vedeva imputati soggetti persone fisiche, radicalmente diversa da quella che il D.Lgs. 231/2001 prevede per il processo nei confronti dell’ente.

In merito, gli ermellini hanno chiarito che:

  • l’ente può patteggiare la sanzione per illeciti per i quali sia contemplata la sanzione interdittiva in via temporanea;
  • l’applicazione della sanzione su richiesta (ex articolo 63 D.Lgs. 231/2001) è consentita in tutti i casi in cui l’illecito dipendente da reato risulti in concreto sanzionato con la sola sanzione pecuniaria.

Inoltre, a parere del giudice di legittimità, al di fuori di questi casi l’applicazione della pena è comunque ammessa se il procedimento penale avente ad oggetto il reato presupposto dell’illecito è definito o definibile a norma dell’articolo 444 c.p.p..

In buona sostanza, l’ente potrà patteggiare la sanzione anche qualora l’illecito sia astrattamente punibile con la misura interdittiva temporanea con la riduzione di pena prevista dall’articolo 444, comma 1, c.p.p., che sarà operata sulla durata della sanzione interdittiva e sull’ammontare della sanzione pecuniaria.

Di contro, nel caso in cui il giudice ritenga che debba essere applicata una sanzione interdittiva in via definitiva, rigetterà la richiesta di patteggiamento.

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