26 Agosto 2016

Responsabilità da 231 e abusi di mercato

di Luigi Ferrajoli
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La responsabilità amministrativa prevista dal D.Lgs. 231/2001 può sorgere in capo all’ente in conseguenza della commissione di reati c.d. presupposto che sono elencati nel medesimo testo normativo.

Il novero dei reati che fanno sorgere la responsabilità da 231 è stato nel tempo ampliato dal legislatore ed è in costante aumento: all’originaria previsione dei reati contro la pubblica Amministrazione si sono, infatti, aggiunti anche i reati collegati alla tutela della salute e sicurezza dei luoghi di lavoro (es. reato di omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro), i reati societari, i reati ambientali, i reati in materia di ricettazione, riciclaggio e auto riciclaggio, i reati in materia di violazione del diritto d’autore e molti altri.

Tra le diverse fattispecie rientrano anche quelle previste a tutela del corretto svolgersi degli scambi sui mercati finanziari e repressive dei comportamenti di abuso del mercato.

L’articolo 25-sexies D.Lgs. 231/2001 prevede infatti che:

  1. In relazione ai reati di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato previsti dalla parte V, titolo I-bis, capo II, del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote.
  2. Se, in seguito alla commissione dei reati di cui al comma 1, il prodotto o il profitto conseguito dall’ente è di rilevante entità, la sanzione è aumentata fino a dieci volte tale prodotto o profitto”.

Le fattispecie richiamate dalla predetta norma sono disciplinate nel D.Lgs. 58/1998, Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria:

  • l’articolo 184, intitolato “Abuso di informazioni privilegiate”, punisce con la reclusione da 2 a 12 anni e con la multa da euro ventimila a euro tre milioni chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate in ragione della sua qualità di membro di organi di amministrazione, direzione o controllo dell’emittente, della partecipazione al capitale dell’emittente, ovvero dell’esercizio di un’attività lavorativa, di una professione o di una funzione, anche pubblica, o di un ufficio:
  1. acquista, vende o compie altre operazioni, direttamente o indirettamente, per conto proprio o per conto di terzi, su strumenti finanziari – oppure raccomanda o induce altri a farlo- utilizzando le informazioni medesime;
  2. comunica tali informazioni ad altri, al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o dell’ufficio.
  • l’articolo 185, intitolato “Manipolazione del mercato”, punisce con la reclusione da 2 a 12 anni e con la multa da euro ventimila a euro cinque milioni chiunque diffonde notizie false o pone in essere operazioni simulate o altri artifizi concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari.

La giurisprudenza di merito e di legittimità ha contribuito a delineare i profili delle fattispecie delittuose; tra le pronunce più interessanti in materia di abuso di informazioni privilegiate si segnala la sentenza della Corte di Cassazione n. 4064 del 29.01.2016, con la quale la Suprema Corte ha annullato l’ordinanza di conferma del provvedimento di sequestro preventivo per equivalente sui beni della Banca Intesa San Paolo quale società incorporante il Banco Emiliano Romagnolo, cui erano attribuite condotte di abuso di informazioni privilegiate, omessa comunicazione di conflitto di interessi e manipolazione di mercato.

Nell’interessante sentenza i giudici richiamano i principi già sanciti dalle Sezioni Unite in tema di confisca dei beni ex articolo 19 D.Lgs. 231/2001, secondo cui tale misura reale non può essere estesa ai beni del soggetto acquirente, o che vanti un titolo sui beni oggetto di confisca, solo qualora questi sia terzo estraneo al reato, ossia non solo non abbia partecipato alla commissione del reato, ma anche che non ne abbia tratto alcun vantaggio o utilità. Inoltre deve sussistere un’ulteriore condizione soggettiva costituita dalla buona fede, ossia la “non conoscibilità, con l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta, del predetto rapporto di derivazione della propria posizione soggettiva dal reato commesso dal condannato”.

Sulla base di tali principi la Cassazione ha escluso che la confisca disposta nei confronti della società che ha partecipato alla fusione per incorporazione si estenda automaticamente alla società incorporante, solo sulla base della regola, fissata in sede civilistica dall’articolo 2504 bis cod. civ., secondo cui “la società che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione“.

Secondo la Suprema Corte, infatti, tale regola, deve essere coordinata con i richiamati principi volti a tutelare la posizione del terzo di buona fede, estraneo al reato, perché, “se così non fosse, la società incorporante o quella risultante dalla fusione si troverebbe esposta alle conseguenze di natura penale di reati commessi da altri, unicamente in base alla posizione formale di soggetto partecipante alla fusione”.

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