7 Ottobre 2014

Regime IVA delle cessioni all’estero di beni in temporanea importazione

di Marco Peirolo
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In un precedente intervento (Cessioni interne di beni in regime di temporanea importazione con IVA) è stato osservato che l’art. 7-bis, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972 considera territorialmente rilevanti in Italia le cessioni aventi per oggetto i beni vincolati al regime della temporanea importazione e che, ai sensi dell’art. 13, comma 2, lett. e), del D.P.R. n. 633/1972, la base imponibile è costituita dal corrispettivo della cessione diminuito del valore accertato dall’Ufficio doganale all’atto della temporanea importazione.
Il suddetto meccanismo di riduzione della base imponibile evita la doppia imposizione, dato che il valore accertato dall’Ufficio doganale viene assoggettato a IVA in occasione dell’importazione definitiva dei beni già introdotti in Italia in temporanea importazione. L’importazione definitiva comporta, infatti, il pagamento dei diritti doganali, compresa l’IVA, che avrebbero dovuto essere applicati, in dogana, in sede di temporanea importazione (art. 190 del D.P.R. n. 43/1973).
Se la cessione è interna, l’imponibilità prescinde dalla circostanza che i beni ceduti, essendo in temporanea importazione, abbiano la posizione doganale di merce allo “stato estero” (art. 175, comma 2, del D.P.R. n. 43/1973).
Se, invece, i beni in temporanea importazione sono ceduti nei confronti di soggetti IVA di altri Paesi membri dell’Unione europea, ferma restando la territorialità dell’operazione – come recentemente confermato dalla Corte di giustizia nella causa C-446/13 del 2 ottobre 2014 (secondo cui il criterio territoriale previsto per le cessioni intracomunitaria è identico a quello applicabile alle cessioni interne) – è dato osservare che la cessione non assume natura intracomunitaria non avendo per oggetto beni originari dell’Unione o ivi immessi in libera pratica, laddove l’immissione in libera pratica è l’operazione doganale con la quale viene attribuita la posizione doganale di merce comunitaria ad una merce non comunitaria (art. 79 del Reg. CEE n. 2913/1992).
Come, infatti, precisato dall’Amministrazione finanziaria, “per la realizzazione di operazioni intracomunitarie (sia acquisti che cessioni) assume rilevanza, tra l’altro, la circostanza che oggetto della transazione sia un bene originario della Comunità o ivi immesso in libera pratica” (R.M. 7 settembre 1998, n. 127/E e risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 20 novembre 2001, n. 185). Conseguentemente, secondo la R.M. n. 127/E/1998, “non configurando tali operazioni l’ipotesi di cessioni intracomunitarie, le stesse devono essere assoggettate all’imposta (…)” ricorrendo il presupposto territoriale di cui al citato art. 7-bis, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972.
Va da sé, pertanto, che qualora l’operatore nazionale abbia erroneamente considerato le suddette operazioni quali cessioni intracomunitarie dovrà operare le opportune rettifiche, anche in relazione alla costituzione ed utilizzo del plafond (risoluzione n. 185/E/2001).
Il meccanismo di riduzione della base imponibile non opera per le cessioni all’esportazione dei beni in temporanea importazione.
Tale conclusione è desumibile, perlomeno implicitamente, dalla R.M. 20 agosto 1998, n. 109/E, con la quale è stata affrontata la questione se, ai corrispettivi addebitati ai clienti a fronte dell’esportazione dei beni ottenuti dalla lavorazione di merci acquistate in regime di temporanea importazione, si applichi il beneficio della non imponibilità IVA di cui all’art. 8, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972 e se, pertanto, gli stessi siano rilevanti ai fini della formazione del plafond.
L’Amministrazione finanziaria si è espressa in senso positivo, atteso che, con la C.M. 3 agosto 1979, n.26/411138, è stato chiarito che, tra i corrispettivi relativi alle cessioni all’esportazione di cui alla citata lett. a) dell’art. 8, sono compresi anche quelli riferiti alle cessioni all’estero di beni ottenuti mediante lavorazione, anche se eseguita da terzi per conto dell’importatore, di merci temporaneamente importate.
Nessun riferimento esplicito è stato fatto alla previsione dell’art. 13, comma 2, lett. c), del D.P.R. n. 633/1972, verosimilmente perché la destinazione in territorio extracomunitario dei prodotti compensatori, rappresentando la destinazione “naturale” degli stessi ex art. 175 del D.P.R. n. 43/1973, non richiede alcun correttivo ed è effettuato, come detto, in regime di non imponibilità.