21 Maggio 2018

Regime Iva del riaddebito dei costi sostenuti dal consorzio

di Marco Peirolo
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Nelle conclusioni presentate il 3 maggio 2018 in merito alla causa C-16/17 (TGE Engineering), l’Avvocato generale UE ha esaminato i riflessi Iva dei rapporti tra consorzio e consorziati, affermando che il ribaltamento dei costi sostenuti dal consorzio è escluso da Iva, per difetto del presupposto oggettivo d’imposta, se i servizi resi dal terzo prestatore nei confronti del consorzio sono funzionali alla sua attività economica, sicché le somme versate dai consorziati non costituiscono il corrispettivo di una controprestazione resa nei loro confronti dal consorzio.

In merito al trattamento Iva dei contributi consortili, l’Amministrazione finanziaria ha costantemente precisato che i predetti contributi, versati dai consorziati al consorzio, hanno carattere corrispettivo e, quindi, sono soggetti ad imposta, essendo commisurati all’entità dei servizi resi dal consorzio ai consorziati.

Con la risoluzione 156/1996, per esempio, è stato chiarito che i contributi consortili, “anche se qualificati dallo statuto come «spese di funzionamento del consorzio», risultando commisurati alle entità dei servizi resi dal Consorzio ai propri consorziati, si configurano quali corrispettivi di specifiche prestazioni di servizi, come tali rilevanti ai fini dell’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’articolo 3 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633”.

Come specificato dall’Agenzia delle entrate con la risoluzione n. 95/2001, “non vi è dubbio che sia presente un nesso di sinallagmaticità tra le quote versate dai consorziati e le prestazioni rese dal consorzio alla luce della differenziazione delle quote medesime. La prima fonte di finanziamento dei consorzi, infatti, è rappresentata dai contributi dei consorzisti. Il principio generalmente seguito è quello di un rapporto di diretta proporzionalità fra l’interesse del singolo cui il consorzio soddisfa e l’ammontare dei contributi dovuti. I contributi dei soci vengono, pertanto, a costituire il patrimonio del consorzio”.

L’applicazione dell’Iva ai contributi consortili deve essere, tuttavia, verificata caso per caso, non assumendo carattere generale, come potrebbe, invece, desumersi dalle indicazioni fornite dalla richiamata prassi amministrativa.

La citata risoluzione 156/1996 ha, infatti, specificato che “esulano dal campo di applicazione del tributo le sole quote consortili versate a copertura di spese generali di gestione per le quali non siano individuabili specifiche prestazioni di servizi rese dall’ente associativo”.

In linea con quanto sottolineato dall’Avvocato UE, l’imponibilità discende generalmente dalla riconducibilità del rapporto tra il consorzio e i consorziati allo schema del mandato senza rappresentanza, di cui all’articolo 28 Direttiva n. 2006/112/CE e all’articolo 3, comma 3, D.P.R. 633/1972.

A tal fine, è necessario che i costi riaddebitati ai consorziati derivino dall’incarico conferito al consorzio di acquisire presso un terzo uno specifico servizio i cui effetti giuridici si riverberano nella sfera giuridica dei consorziati (risoluzione AdE 176/E/2007).

Il riaddebito assume rilevanza ai fini Iva anche quando il consorzio rende ai propri consorziati “un servizio complesso e strutturato che esula dal semplice ribaltamento dei costi dei singoli beni o servizi acquistati dal consorzio medesimo” (risoluzione n. 176/E/2007, cit.).

In tali ipotesi, infatti, il servizio reso dal mandatario assume una nuova e distinta natura rispetto al mero ribaltamento di costi sostenuti, ragion per cui si resta al di fuori dello schema del mandato senza rappresentanza, che secondo la disciplina Iva che lo contraddistingue implica l’omologazione del servizio ribaltato “a valle” a quello acquistato “a monte”. Sul punto, la risoluzione AdE 35/E/2001 ha confermato che, nello schema del mandato senza rappresentanza, l’identità oggettiva tra la natura dei servizi “a monte” e “a valle” è ricollegata all’assenza di un “quid novi.

In collegamento con quanto appena puntualizzato, può osservarsi che, per l’Amministrazione finanziaria, il riaddebito mantiene lo stesso trattamento Iva dell’operazione “a monte” anche se maggiorato (risoluzione 6/1998). In altri termini, il “mark-up” applicato dal mandatario non inficia l’equiparazione tra le due operazioni che compongono il mandato senza rappresentanza sotto il profilo della qualificazione oggettiva, né d’altronde l’applicazione di una maggiorazione impone al mandatario di fatturare separatamente la maggiorazione stessa.

Di diverso avviso, invece, la Corte di giustizia, per la quale, in presenza di una maggiorazione applicata al costo, la prestazione rifatturata assume una differente natura, nella specie “generica”, applicandosi ad essa – almeno potenzialmente – un differente regime impositivo (causa C-224/11, BGZ Leasing).

È il caso, infine, di rammentare che, “qualora il consorzio fosse chiamato ad operare in veste di mandatario con rappresentanza, i terzi, in relazione alle operazioni effettuate nei confronti del consorzio, dovrebbero emettere fattura direttamente in capo ai consorziati” (risoluzione AdE 355/E/2002).

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