28 Marzo 2018

Reati tributari: patteggiamento senza tempus commissi delicti

di Angelo Ginex
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In tema di reati tributari, l’ammissione all’applicazione della pena su richiesta delle parti è consentita in tutti i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore dell’articolo 13-bis, comma 2, D.Lgs. 74/2000, e quindi indipendentemente dal tempus commissi delicti, in quanto disposizione di carattere processuale che prevede un’esclusione oggettiva riferita alla generalità dei delitti in materia tributaria. È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza 6 febbraio 2018, n. 5448.

La fattispecie in esame aveva origine con la pronuncia da parte del g.u.p. del Tribunale di Bergamo di una sentenza di patteggiamento ex articolo 444 c.p.p. (rectius, applicazione della pena su richiesta delle parti), in relazione alla commissione del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti di cui all’articolo 2 D.Lgs. 74/2000, commesso in tempi diversi, ma in esecuzione del medesimo disegno criminoso ex articolo 81 c.p..

La Procura Generale della Repubblica proponeva, dunque, ricorso per cassazione per violazione dell’articolo 13-bis, comma 2, D.Lgs. 74/2000, sull’assunto che il giudice, nell’emanare il proprio provvedimento, non avesse considerato che tale norma subordina l’accesso al patteggiamento, per tutti i reati previsti dal citato decreto, o all’estinzione totale del debito tributario o al ravvedimento operoso, circostanze che però non erano emerse dalla sentenza impugnata.

Precisava, inoltre, che detto articolo fosse una disposizione processuale operante, in assenza di specifiche norme transitorie, indistintamente per tutti i processi in corso, non rilevando il tempus commissi delicti, ovvero la data di commissione del reato.

L’imputato, per contro, sollevava questione di legittimità costituzionale dell’articolo 13-bis, comma 2 citato in relazione agli articoli 3, 24, 111 e 113 Cost., nonché 6 e 14 CEDU, dacché la norma incriminata:

  1. determinerebbe una disparità di trattamento tra imputati di reati tributari, consentendo l’accesso alla pena concordata solo a quanti dispongono di risorse patrimoniali adeguate e precludendone la fruizione a quanti, pur avendo ricoperto profili direttivi societari in passato, sono cessati dalla carica e non possono più disporre delle risorse societarie;
  2. violerebbe il diritto di difesa, impedendo l’esercizio di scelte processuali più convenienti per l’imputato.

I Supremi giudici, accogliendo il ricorso del titolare dell’azione penale, hanno precisato i presupposti applicativi e la natura giuridica della norma oggetto del gravame.

Essi, in prima battuta, hanno osservato che l’articolo 13-bis, comma 2, D.Lgs. 74/2000 subordina l’accesso alla pena concordata all’alternativa circostanza dell’integrale pagamento, prima dell’apertura del dibattimento di primo grado, dei debiti tributari, o del ravvedimento operoso, salvo che non si proceda, rispettivamente, per i reati di omesso versamento ed indebita compensazione (articoli 10-bis, 10-ter, 10-quater D.Lgs. 74/2000) o per i reati di dichiarazione infedele e omessa dichiarazione (articoli 4 e 5 D.Lgs. 74/2000), per i quali tali adempimenti integrano cause di non punibilità.

Nell’esaminare la sua natura giuridica, invece, i Giudici di Piazza Cavour non hanno riscontrato alcun carattere innovativo della norma, prescrivendo già il precedente articolo 13-bis, comma 2, D.Lgs. 74/2000 che le parti possono accedere al patteggiamento ove siano estinti i debiti tributari.

Inoltre, i medesimi, riallacciandosi a quanto statuito dalla Corte Costituzionale, con sentenza 28 maggio 2015, n. 95, hanno affermato tout court che la norma in esame è una disposizione processuale che prevede un’ipotesi di esclusione oggettiva dal patteggiamento, involgente la totalità dei reati tributari disciplinati dal D.Lgs. 74/2000 e che, in assenza di disposizioni transitorie, essa si applica a tutti i procedimenti pendenti, a nulla rilevando il tempus commissi delicti.

Nel caso di specie, quindi, non essendo stata soddisfatta nessuna delle due succitate condizioni per l’accesso al rito alternativo di cui all’articolo 444 c.p.p., i giudici hanno provveduto a cassare il provvedimento e a trasmettere gli atti al g.u.p. per il presumibile rinvio a giudizio dell’imputato.

Chiosando la sentenza, la Suprema Corte ha, infine, affrontato la questione di legittimità costituzionale sollevata dall’imputato, osservando che essa è priva di rilevanza nel giudizio di cassazione, in quanto la norma disciplina un adempimento processuale non soggetto alla cognizione del giudice dell’udienza preliminare, ma a quello della fase di merito.

Essi pertanto, rigettando la pregiudiziale costituzionale, hanno rinviato la verifica dei presupposti applicativi della norma al giudice di merito.

 

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