18 Aprile 2015

Quando il mutuo manda in tilt il precompilato

di Maurizio Tozzi – Comitato Scientifico Master Breve 365
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Che il modello precompilato, almeno in questa prima fase, rischi di essere una vera e propria complicazione per il consulente, non è certo un mistero. Le polemiche ruotano tutte attorno alla problematica della responsabilità, in termini di imposta, che si intendono far ricadere in capo a chi presta l’assistenza fiscale. Sembra che vi possa essere un ripensamento normativo, nel frattempo l’ordine dei dottori commercialisti ha preannunciato che alla prima contestazione nei confronti di un professionista sarà avviato un ricorso per illegittimità costituzionale della norma, ma intanto, all’italiana, tutto resta invariato e si parte con questa nuova esperienza. Non è dato sapere se vi saranno benefici e se davvero vi sarà un uso, in termini di non modifica di quanto “precompilato”, della dichiarazione prodotta dal fisco. Chi scrive è enormemente scettico sul tema, almeno per l’anno 2014 e semplicemente per un motivo: il modello 730 è di solito usato per ottenere il rimborso di importi a credito derivanti da deduzioni e detrazioni; ergo, la modifica del modello, posto che è assente qualsiasi informazione sul principale onere detraibile, ossia le spese mediche, sarà quasi inevitabile.

Ciò posto, cosa accade al consulente che in maniera coraggiosa decide di mettere mano alle informazioni del fisco per aderire alle interpretazioni del passato o comunque per applicare la norma? Semplice la risposta: lo effettua a suo rischio e pericolo.

Sembra paradossale, ma è così. Ed uno degli aspetti che può mandare in totale confusione è rappresentato dal pagamento del mutuo. Lo spunto trae origine da una sentenza della Corte di Cassazione, la n. 6794 depositata il 2 aprile 2015, che si è espressa in ordine alla deducibilità dell’assegno periodico corrisposto al coniuge. Ma andiamo con ordine.

La prima grande problematica del mutuo pagato riguarda la corretta applicazione delle regole (interpretative) di gestione della detrazione. L’Agenzia delle entrate metterà a disposizione il mero dato di pagamento degli interessi ricevuto dall’istituto di credito. Può questo importo essere indicato nel rigo E7, ovvero, in caso di mutuo per la costruzione, nel rigo E8 con il codice 10? Nessuno può saperlo a priori. L’agenzia fornisce l’informazione (e si potrebbe aggiungere, a questo punto, che non se ne sentiva il bisogno), ma l’adempimento dichiarativo richiede tutta una serie di calcoli.

Ciò in quanto in un documento di prassi, la Circolare n. 15/E/2005, è stato stabilito che bisogna rapportare l’importo di spesa per l’immobile alla quota ricevuta in prestito: se il mutuo è superiore alla spesa, la detrazione potrà essere fruita in riferimento ad un ammontare di interessi esattamente proporzionale. Tradotto in termini pratici, se gli interessi segnalati nel precompilato saranno pari a 3.000 euro, ma la spesa sostenuta è pari a 150 mila euro ed il mutuo a 200 mila euro, in dichiarazione sarà possibile indicare il 75% degli interessi, ossia 2.250 euro. L’aspetto “simpatico” della vicenda (da annotare per quanto si dirà in seguito), è che la norma di riferimento non prevede affatto l’obbligo di procedere ad un simile rapporto, stabilito invero da una circolare interpretativa. Del tutto diversa è invece la situazione per i mutui di costruzione: in questo caso è il decreto attuativo, il D.M. n. 311/99, a stabilire la necessità di detrarre in proporzione agli importi spesi per la ristrutturazione/costruzione. Il confronto deve però avvenire al termine dei lavori (in tal senso si esprime la Circolare n. 17/E/2005) e dunque sembra lecito indicare, in caso di lavori in corso, l’intero importo degli interessi pagati nell’anno senza procedere a rapporti parziali; solo al termine dei lavori si procederà al rapporto e gli eventuali importi detratti in più dovranno essere sottoposti a tassazione separata.

Tutto vero? Sì, applicando i richiamati documenti di prassi.

Tra le interpretazioni del fisco si segnala però anche la Circolare n. 50/E/2002, risposta 3.2, laddove si legge chiaramente che nell’ambito degli assegni al coniuge che danno diritto alla deduzione dal reddito non è configurabile la fattispecie in cui si procede al pagamento del mutuo per conto dell’ex coniuge, atteso che le somme destinate alle rate di mutuo, che non vengono corrisposte al coniuge stesso, bensì direttamente all’istituto mutuante, non sembrano collegate ai medesimi presupposti dell’assegno di mantenimento”.

Condivisibile? La richiamata sentenza n. 6794/2015 è di avviso totalmente opposto. Il codice civile, agli articoli 1268 e seguenti, stabilisce che l’accollo rappresenta una delle modalità di estinzione dell’obbligazione diverse dall’adempimento, con la conseguenza che “non è chi non veda che a mezzo di siffatta modalità la coniuge debitrice è rimasta di certo sollevata dall’onere di adempiere in prima persona, in tal modo avvantaggiandosi, nell’ottica del sollievo dallo stato di bisogno, alla stessa stregua di come sarebbe avvenuto se la corresponsione dell’assegno periodico fosse avvenuto direttamente a suo favore con le modalità consuete”.

Ricordando che sempre a parere della Cassazione i documenti di prassi non sono affatto vincolanti, finanche per la stessa Amministrazione finanziaria, non può che concludersi che la confusione regna sovrana. Va a finire che la soluzione sarà tornare al modello Unico, con buona pace della semplificazione.