5 Febbraio 2025

Quando è precluso lo “storno” della fattura con Iva per cessione di beni all’estero

di Marco Peirolo
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La scheda di FISCOPRATICO

Le conclusioni presentate dall’Avvocato generale presso la Corte di giustizia UE il 19.12.2024, relativamente alla causa C‑427/23 (Határ Diszkont), confermano le indicazioni rese dall’Agenzia delle entrate nella risposta ad interpello n. 305/2020.

Nel documento di prassi viene escluso, in relazione alle cessioni intracomunitarie con trasporto/spedizione dei beni a cura del cessionario non residente, la possibilità di:

  • emettere fattura con Iva, ex articolo 2, D.P.R. 633/1972;
  • acquisire la conferma dell’avvenuto trasferimento dei beni nel Paese UE di destinazione tramite dichiarazione scritta del cessionario;
  • stornare la fattura con nota di variazione, di cui all’articolo 26, D.P.R. 633/1972, seguita dall’emissione di una nuova fattura in regime di non imponibilità.

Tale procedura è preclusa in quanto l’incertezza attiene, sin dall’origine, alla validità dei mezzi di prova della cessione e non alla sussistenza dei requisiti astratti cui è subordinata la qualificazione dell’operazione come cessione intracomunitaria. Di conseguenza, il cedente non può avvalersi dell’emissione della nota di variazione in diminuzione, a cui si ricorre solo nei casi espressamente previsti dal legislatore, tra i quali non rientra l’ipotesi prospettata.

Il caso esaminato dall’Avvocato UE è relativo ad una società ungherese che ha venduto, nei propri locali commerciali, situati in Ungheria in prossimità della frontiera serbo-ungherese, alcuni beni ad acquirenti non residenti nella UE, che hanno esportato il giorno stesso.

A fronte della dimostrazione dell’avvenuta esportazione, la società ha provveduto a restituire agli acquirenti l’Iva in precedenza addebitata, fatturando agli stessi una commissione pari al 15% a titolo di gestione della pratica relativa al rimborso.

Il trattamento di esenzione applicato dalla società è stato contestato dalle Autorità fiscali ungheresi, per le quali la commissione non può beneficiare della detassazione prevista per le cessioni all’esportazione, in quanto costituisce il corrispettivo di una prestazione autonoma.

Prima di analizzare quest’ultimo aspetto, ossia la possibilità di considerare la commissione come il corrispettivo di una prestazione autonoma o di una prestazione accessoria alle cessioni all’esportazione, l’Avvocato UE ha osservato che, nella causa C-427/23 in esame, tecnicamente non vi è alcun rimborso dell’Iva.

Infatti, è pacifico che le cessioni effettuate dalla società sono esenti da Iva, ai sensi dell’articolo 146, par. 1, lett. b), Direttiva n. 2006/112/CE, corrispondente all’articolo 8, comma 1, lett. b), D.P.R. 633/1972, in ragione dell’esportazione dei beni ceduti.

Trattandosi di operazioni esenti, l’Iva non è dovuta e, quindi, se l’imposta non deve essere versata non può neppure essere rimborsata.

Nella specie, al momento dell’acquisto dei beni, gli acquirenti non residenti hanno pagato alla società un prezzo totale lordo che comprende anche l’Iva che sarebbe dovuta nel caso in cui l’esenzione non fosse applicabile, vale a dire qualora il bene non venisse esportato o l’acquirente non fornisse la documentazione necessaria per dimostrare che i requisiti sostanziali dell’esenzione sono soddisfatti.

In queste condizioni, il pagamento effettuato dalla società agli acquirenti non residenti costituisce una restituzione dell’importo anticipato a concorrenza di quanto sarebbe stato eventualmente dovuto a titolo di Iva, non trattandosi, dunque, di un rimborso dell’Iva.

Come anticipato, il divieto sostenuto dall’Agenzia delle entrate trova conferma nelle considerazioni dell’Avvocato generale.

La prova dell’avvenuta cessione intracomunitaria retroagisce sulla natura dell’operazione, identificandola come non imponibile sin dall’origine.

L’Iva addebitata in fattura non può, quindi, essere detratta dal cedente con la procedura di variazione in diminuzione, di cui all’articolo 26, comma 2, D.P.R. 633/1972.

L’eccezione ricorre nell’ipotesi dell’errore di fatturazione, contemplata dall’articolo 26, comma 3, D.P.R. 633/1972, che però non ricorre nel caso in esame, in quanto l’applicazione dell’imposta non dipende da un errore, ma dalla volontà del cedente di cautelarsi nei confronti dell’Amministrazione finanziaria nell’eventualità in cui il cessionario, al quale compete il trasporto/spedizione dei beni nel Paese UE di destinazione, non cooperi con il cedente ai fini della dimostrazione dell’esito finale dell’operazione.