21 Dicembre 2016

Il punto di Assonime sui temi fiscali delle imprese multinazionali

di Fabio Landuzzi
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Con la pubblicazione del documento Note e Studi n. 17/2016, Assonime fornisce un utile e significativo contributo riguardo diversi temi di grande attualità per le imprese multinazionali operanti in Italia, sia in merito ad argomenti di carattere societario, sia di contenuto fiscale.

Il gruppo di lavoro che ha contribuito alla formulazione di questo documento di analisi e di proposta, parte dalla constatazione oggettiva che molti gruppi multinazionali hanno rivisto i propri tradizionali modelli di business che erano caratterizzati dall’approccio cd. “country specific” – in cui ciascuna impresa localizzata nel singolo Stato svolgeva pressoché la stessa attività sebbene in territori diversi – in modelli “globali” ossia basati sulla centralizzazione delle funzioni, sulla frammentazione della produzione e sulla integrazione verticale delle imprese. Questo fenomeno ha quindi condotto ad una spiccata specializzazione delle singole imprese in solamente alcune funzioni, con la conseguenza di averne perdute altre che tradizionalmente appartenevano a ciascuna di esse; in sostanza, si assiste sempre di più ad un fenomeno dove quasi nessuna impresa svolge per interno tutte le fasi e le funzioni in cui si articola il business, bensì tende a specializzarsi in quella, o quelle, attività in cui, vuoi per competenze o vuoi per localizzazione, risulta essere maggiormente efficiente. Il che rende le imprese, così specializzate, dipendenti funzionalmente dalle altre imprese consorelle, a loro volta concentrate su altre fasi del business (ad esempio, chi sulla ricerca e sviluppo, chi sulla produzione, chi sulla commercializzazione, chi sull’assistenza, ecc.).

Nello stesso tempo, a questa accentuata specializzazione non può non accompagnarsi una regia comune con la conseguenza che nei gruppi multinazionali si assiste sempre più di frequente alla creazione di organismi trasversali di indirizzo strategico; tutto ciò comporta l’osservazione di un fenomeno di scollamento fra il concetto di entità legale, intesa come organizzazione giuridica autonoma, e quello di organizzazione “economica” dell’impresa e del suo gruppo di appartenenza.

Si arriva perciò ad osservare che in molte circostanze il gruppo di imprese assume le dimensioni reali di una mega impresa globale in cui ogni partizione – cioè la singola impresa – svolge una fase. È evidente che questo fenomeno, che nasce nell’economia reale, pone interrogativi molto importanti e sfidanti con riguardo all’adeguamento della normativa fiscale, la quale non può certo ostacolare questo processo ma neppure dimenticare le esigenze di assicurare che il reddito prodotto venga assoggettato correttamente ad imposta, come è nelle intenzioni del progetto Beps in ambito Ocse.

In questo contesto, uno dei primi temi che si pone con spiccata criticità è quello della “esterovestizione” che, normato nella legislazione italiana nel comma 5-bis dell’articolo 73 del Tuir, ha tuttavia visto applicazioni pratiche assai più ampie e assai critiche, andando a confondere il legittimo esercizio di direzione e coordinamento del gruppo con quello di attrazione in Italia della residenza fiscale di imprese estere.

Il tema si pone in modo molto spiccato con riguardo alle cd. subholding passive, ovvero imprese che fanno della loro attività la detenzione di partecipazioni godendone dei relativi frutti; molto spesso, quando controllate da holding residenti in Italia, a queste imprese è stata contestata appunto la “esterovestizione” con conseguenti effetti fiscali. Si osserva al riguardo che la Corte di Giustizia europea ha ribadito che la libertà di stabilimento vale per tutte le attività, ivi inclusa quella di gestione delle partecipazioni quand’anche questa non configuri attività commerciale nel significato più stretto del termine.

Il tema della esterovestizione è stato inoltre sollevato anche in relazione ad imprese estere operative, in quanto si è talvolta eccepito che la mente e la guida delle stesse fosse comunque riconducibile all’impresa italiana; per questa circostanza, benché anche la giurisprudenza abbia evidenziato la necessità di distinguere fra il luogo in cui si esercita la legittima direzione e coordinamento della controllata estera e quello in cui ha sede la direzione effettiva dell’impresa, appare assolutamente opportuno – come suggerisce Assonime – che vengano elaborate dall’Amministrazione linee guida chiare per distinguere l’attività di direzione e coordinamento svolta dalla controllante italiana rispetto all’attività di gestione vera e propria, tenendo conto poi che le funzioni che fossero svolte dalla casa madre italiana devono essere correttamente remunerate secondo le regole del transfer pricing.

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