5 Agosto 2016

Presupposti del sequestro preventivo di beni intestati a terzi

di Luigi Ferrajoli
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Il sequestro preventivo emesso in relazione a fattispecie penale tributaria costituisce sempre motivo di interesse e di discussione.

In particolare, si deve porre specifica attenzione sull’intestazione dei beni colpiti dal provvedimento e sulla effettiva disponibilità degli stessi.

La Corte di Cassazione, Sezione Terza Penale, con la sentenza n. 24816 del 2016, si è occupata di tale questione con riferimento all’ipotesi di omessa dichiarazione, reato previsto e punito dall’art. 5 D.Lgs. n. 74/2000.

Il ricorrente aveva eccepito quanto segue: carenza di motivazione sul fumus commissi delicti, con specifico riferimento alla soglia di punibilità; mancanza di motivazione in ordine al valore dei beni sottoposti a sequestro e al quantum confiscabile ex lege; carenza di motivazione inerente la riferibilità dei beni oggetto di sequestro al ricorrente stesso.

Più specificamente, relativamente alla prima doglianza il ricorrente aveva richiamato il fatto che, in virtù di una appostazione contabile, la fattispecie de qua sarebbe stata ricondotta al di sotto della soglia di rilevanza penale vigente ratione temporis.

Su questo punto, la Suprema Corte ha affermato che detta censura non solo non rientra tra quelle previste dall’art. 325 c.p.p., ma che la questione può essere valutata solo dal Giudice del merito cautelare, trattandosi di valutazioni in fatto.

Tuttavia, “incidentalmente ed ex officio”, la Corte di Cassazione ha rilevato che, secondo quanto disposto dal D.Lgs. n. 158/2015, entrato in vigore nelle more del procedimento per Cassazione, la soglia di punibilità di cui al richiamato art. 5 è stata rideterminata in misura più elevata e nel caso di specie è applicabile il principio del favor rei di cui all’art. 2 c.p..

La conclusione che se ne deve trarre, pertanto, è che sia venuta meno la rilevanza penale dell’omissione contestata, poiché l’IVA evasa si attesta su importi inferiori alla soglia di punibilità riferibile al caso di specie.

Per quanto concerne la seconda censura mossa dal ricorrente avverso il provvedimento confermativo del sequestro, il Giudice di legittimità ha osservato come la motivazione addotta dal Tribunale sul punto fosse corretta ed esaustiva, in quanto “per ciò che concerne la individuazione e valorizzazione dei beni da sequestrare, tale specifica attività è demandata alla fase esecutiva del sequestro, anche sulla base dei valori di catasto (v. Sez. 3, n. 10438 del 08/02/2012), bastando invece che il giudice della cautela determini l’ammontare massimo della misura, come è stato senz’altro fatto nel caso di specie (tra le molte, v. da ultimo Sez. 3, n. 37848 del 07/05/2014, Chidichimo, Rv 260148)”.

Peraltro, anche in questo caso la Corte ha rinvenuto nelle motivazioni del ricorrente un aspetto meritevole di accoglimento, con specifico riferimento alla totale assenza, da parte del Tribunale, di motivazione inerente la corrispondenza tra la formale intestazione dei beni ad una società e la disponibilità degli stessi in capo all’indagato/sequestrato.

Proprio su tale questione, la Corte di Cassazione ha ritenuto opportuno richiamare il principio per cui “In tema di sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, quando il bene è formalmente intestato a terzi, pur se prossimi congiunti dell’indagato, non opera alcuna presunzione di intestazione fittizia, ma incombe sul pubblico ministero l’onere di dimostrare situazioni da cui desumere concretamente l’esistenza di una discrasia tra intestazione formale e disponibilità effettiva del cespite (v. sez. 3, n. 14605 del 24/03/2015, Zaza, RV. 263118)”.

Come si può notare, trattasi di indirizzo garantista che, invalidando qualsivoglia ricorso a presunzioni, pone a carico dell’accusa lo specifico onere di provare che i beni intestati a terzi siano nella effettiva disponibilità dell’indagato.

Per tali ragioni, la Suprema Corte ha annullato l’ordinanza impugnata, rinviando al Tribunale ai fini di rideterminare il valore sequestrabile per equivalente del profitto confiscabile, in virtù della diminuzione del medesimo risultante dalla non punibilità dell’omessa dichiarazione per innalzamento della soglia e per adeguatamente motivare sulla riferibilità dei beni sequestrati all’indagato.

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