26 Maggio 2015

Prenotiamo, documenti e ragionamenti

di Claudio Ceradini
Scarica in PDF

Recita l’art. 161, co. 6, L.F. che l’imprenditore può depositare il ricorso contenente unicamente la domanda di concordato allegando i bilanci relativi ai tre esercizi precedenti e, dal 2013 dopo l’opportuno intervento di riequilibrio dell’art. 82, co. 1, lett. a) del D.L. 69 del 21.06.2013, convertito con L. 98/2013, anche l’elenco nominativo dei creditori con l’indicazione dei relativi crediti, riservandosi nei termini imposti dal tribunale di presentare successivamente la proposta ed il piano che la sorregge, e tutta la documentazione che il secondo ed il terzo comma dello stesso articolo richiedono. Piano concordatario e proposta ai creditori sono i due elementi cardine del progetto di risanamento cui il debitore decide di sottoporsi. Il primo consiste nell’elenco delle azioni necessarie e deliberate, sufficienti per natura e consistenza a condurre al risanamento. La seconda, trova supporto nel primo, ed è costituita dall’impegno che il debitore assume nei confronti dei creditori. Abbiamo per diverse settimane solleticato numeri ed ipotesi, ed è apparso chiaro come il proposito non meramente liquidatorio richieda un impegno consistente in termini sia di tempo che di risorse impiegate. I piani concordatari di ormai antica memoria, quando ancora la meritevolezza era criterio di ammissione, altro non erano che gestione concorsuale e normata della fase di scioglimento e chiusura della società, nello stesso spirito e con medesimo scopo della procedura concorsuale maggiore, solo con minore invasività ed efficacia e tendenzialmente più tenui conseguenze.

Oggi no. Oggi, e ormai da un bel pezzo ma soprattutto dall’11 settembre 2012, è cambiato tutto, ed il concordato serve, o dovrebbe servire, prima di tutto per risanare ed in via residuale per liquidare. Ed allora è necessario dotarsi di due elementi irrinunciabili, il tempo e le risorse necessari.

Con ordine, ci serve innanzitutto tempo. La norma cui abbiamo riferito in apertura consente al debitore di chiedere al tribunale un termine da 60 a 120 giorni per il deposito di piano, proposta e documentazione, in sostanza di tutto quanto si compone il ricorso. Sarà il giudice poi a definirlo tra i due estremi, ed a concedere eventualmente, ove ve ne fosse la necessità ed i giustificati motivi, una ulteriore proroga di 60 giorni. In sostanza l’imprenditore avrà da un minimo di 60 ad un massimo di 180 giorni per organizzarsi e depositare il suo progetto. In questo ambito, e ragionevolmente, il Tribunale

  1. può già provvedere alla nomina del Commissario Giudiziale, con la finalità soprattutto di monitorare l’attività di costruzione del piano, per evitare che le prenotazioni abbiano mera, inutile quanto pericolosa, finalità dilatoria, senza sostanziale costrutto risanatorio, al punto che il termine concesso originariamente con il decreto di ammissione può ai sensi del successivo co. 8, penultimo periodo, essere sacrosantamente abbreviato se l’attività risultasse manifestatamente inidonea alla configurazione di una proposta;
  2. ha diritto, e per il suo tramite i creditori, ad una periodica e oggi definita informativa, che comprenda una relazione, sia su quanto compiuto ed in programma per la definizione di piano e proposta, sia anche sulla situazione finanziaria e le sue evoluzioni. È interesse di tribunale e creditori comprendere come la situazione si evolve, e se l’approccio alla procedura generi un ulteriore deficit, ed in che misura. Torneremo tra qualche settimana su questo aspetto, nel tentativo di proporre uno standard, per punti salienti e struttura numerica, che possa in attesa di indicazioni più autorevoli della professione, costituire una possibile e condivisa impostazione periodica dell’informativa.

Trovato il tempo, capiamoci su quali risorse servono. La prima, e lo abbiamo già più volte riferito, sono i soldi. La settimana scorsa si rifletteva sull’effetto della prenotazione di un concordato nel sistema impresa, su banche, fornitori, clienti, dipendenti, per concludere che le reazioni avrebbero richiesto pagamenti immediati, ed incassi forse ancor più dilazionati. Chi prenota sappia che la quotidianità del lavoro e della gestione divengono difficili senza una sufficiente provvista, e si organizzi. Possono esserci cespiti cedibili, ed in questo caso la prenotazione porti con sé l’istanza di autorizzazione ai sensi dell’art. 161, co. 7, LF, o società terze disposte a finanziare temporaneamente, ed ai sensi dell’art. 182quinquies, ed allora prepariamoci con una per nulla semplice pre-attestazione sulla congruità della copertura finanziaria rispetto al fabbisogno. Ancora, si prepari prima un’informativa alla clientela in cui si chiariscano le modalità con cui i pagamenti dovranno essere eseguiti, e si usi allo scopo, pur con semplicità, ogni mezzo, anche la rete vendita, per realizzare anche a costo di qualche sconto la maggior liquidità possibile, in tempi brevi.

La seconda, sono i professionisti. Per affrontare un progetto di risanamento di questo tipo che non sia banalmente liquidatorio (anche se di banale in queste cose non c’è mai niente), non serve un professionista, ma un gruppo professionale. L’esperienza insegna che il supporto legale, concorsuale, contrattuale, per i rapporti bancari, per i rapporti con il personale dipendente difficilmente richiede meno di tre avvocati. L’aspetto numerico richiede, in condizioni di affidabilità contabile del debitore talvolta precaria (quando l’azienda è in crisi lo è sotto ogni aspetto, ma all’attestatore va consegnato un piano credibile e veritiero anche nei dati aziendali di partenza), assidua assistenza e attività di pre-controllo di natura sostanzialmente revisionale. L’elaborazione del piano economico e finanziario e la riduzione dei costi impongono la presenza di esperti di marketing, ne abbiamo parlato e lo confermiamo, di organizzazione e di processo, o più genericamente aziendali. Tutto questo costa, risanare costa anche senza arricchirsi. E per quanto il gruppo professionale sia preparato, non è ad oggi attribuibile di doti divinatorie, non sa e non può sapere se il piano avrà successo, e nemmeno se anche con i migliori propositi le trattative necessarie (di cessione di un cespite, di un ramo di azienda, di riduzione per personale, etc.) potranno riuscire o meno. Ed è bene saperlo e capirlo, perché altrimenti i professionisti rischiano di assomigliare tristemente a opportunisti, quale è l’immagine che probabilmente alcuni tribunali hanno maturato recentemente. Nulla questio se la censura colpisce il professionista che abusi della sua posizione, intervenga anche il Commissario, duramente, eccependo anche l’atto in frode che autorizza l’attivazione dell’art. 173 L.F. se del caso. Ma quello che oggi capita troppo spesso è altro. Se il piano non viene presentato, ed il professionista serio non lo presenta se non è sostenibile o funzionale alla maggior soddisfazione dei creditori, o fallisce, troppi tribunali concludono che egli non è stato utile, in considerazione unicamente dell’esito della procedura di concordato, e che quindi il suo compenso non solo non è prededucibile nel successivo fallimento perché non effettivamente funzionale alla procedura concorsuale (tra le ultime, Corte di Appello di Ancona 15/04/2015), ma addirittura non è nemmeno ammissibile. Tralasciando i tanti rilievi giuridici che verrebbero spontanei, a partire dalla natura dell’obbligazione contrattuale del professionista e per finire al principio di funzionalità contenuto all’art. 111 L.F. che nulla ha a che vedere con il risultato, se la regola diventa che il professionista viene pagato solo se il risanamento avrà successo, di concordati non se ne faranno più. E non consola, anzi costringe ad interrogarsi, sapere che l’orientamento di legittimità è costantemente contrario a questa impostazione.

E non provate a farvi pagare prima, rischiate il concorso in bancarotta preferenziale.