15 Dicembre 2017

È possibile presentare ricorso contro l’avviso bonario?

di Marco Bargagli
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Ai fini delle imposte sui redditi, ai sensi dell’articolo 36-bis del D.P.R. 600/1973, l’Amministrazione finanziaria, avvalendosi di particolari procedure automatizzate, può procedere, entro l’inizio del periodo di presentazione delle dichiarazioni relative all’anno successivo, alla liquidazione delle imposte, dei contributi e dei premi dovuti, nonché dei rimborsi spettanti in base alle dichiarazioni presentate dai contribuenti e dai sostituti d’imposta.

Simmetricamente, ai fini Iva, il controllo automatico delle dichiarazioni, trova la sua fonte normativa nell’articolo 54-bis del D.P.R. 633/1972. Anche in tale circostanza, non viene effettuato un controllo di merito sulla dichiarazione, ma tendenzialmente serve a correggere gli errori materiali e di calcolo commessi dai contribuenti nella determinazione del volume d’affari e delle imposte.

L’articolo 19 del D.Lgs. 546/1992 illustra un elenco tassativo degli atti impugnabili in sede giurisdizionale, tra cui non figura l’avviso bonario (comunicazione di irregolarità) emanato in esito al controllo automatico delle dichiarazioni ai fini delle imposte sui redditi e ai fini Iva.

Di conseguenza, in linea di principio, sembrerebbe non ammissibile presentare ricorso tributario avverso l’avviso bonario ricevuto da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Tale assunto trova conferma nei documenti di prassi e, in particolare, nella risoluzione 110/E/2010 emanata dall’Agenzia delle Entrate, Direzione centrale affari legali e contenzioso nella quale, richiamando l’orientamento espresso in apicibus dalle sezioni unite della Corte di Cassazione, con le sentenze 24 luglio 2007, n. 16293, e 26 luglio 2007, n. 16428, è stato chiarito che le comunicazioni di irregolarità (c.d. “avvisi bonari”) non sono immediatamente impugnabili innanzi alle Commissioni tributarie, in quanto “costituiscono … un invito a fornire eventuali dati o elementi non considerati o valutati erroneamente nella liquidazione dei tributi. Quindi manifestano una volontà impositiva ancora in itinere e non formalizzata in un atto cancellabile solo in via di autotutela (o attraverso l’intervento del giudice)”.

Infatti, ai fini dell’accesso alla tutela giurisdizionale innanzi ai giudici tributari è essenziale che il tenore dell’atto manifesti – circostanza che non si verifica con i c.d. “avvisi bonari” – una “pretesa tributaria compiuta e non condizionata, ancorché accompagnata dalla sollecitazione a pagare spontaneamente per evitare spese ulteriori …”.

In definitiva, a parere dell’Agenzia delle Entrate, i richiamati orientamenti della Suprema Corte confermano che le comunicazioni al contribuente (c.d. “avvisi bonari”) recapitate ai sensi degli articoli 36-bis, comma 3, del D.P.R. 600/1973 e 54-bis, comma 3, del D.P.R. 633/1972, non contenendo una pretesa tributaria definita, non costituiscono atti impugnabili.

Tale approccio ermeneutico è stato tuttavia sconfessato dalla stessa Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 25297/2014, nella quale è stata sancita l’autonoma impugnabilità delle comunicazioni di irregolarità emesse a seguito del controllo automatico.

Nello specifico, gli ermellini hanno affermato che in tema di impugnazione di atti dell’amministrazione tributaria, nonostante l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 del D.lgs. n. 546 del 1992, i principi costituzionali di buon andamento della p.a. (art. 97 Cost.) e di tutela del contribuente (art. 24 e 53 Cost.) impongono di riconoscere l’impugnabilità di tutti gli atti adottati dall’ente impositore che portino, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, con l’esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, senza necessità di attendere che la stessa si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dalla norma su richiamata, e tale impugnazione va proposta davanti al giudice tributario, in quanto munito di giurisdizione a carattere generale e competente ogni qualvolta si controverta di uno specifico rapporto tributario.

In definitiva, a parere dei giudici, anche la comunicazione di irregolarità ex articolo 36-bis, comma 3, del D.P.R. 600/1973, portando a conoscenza del contribuente una pretesa impositiva compiuta, è immediatamente impugnabile innanzi al giudice tributario (Conformemente cfr. Corte di cassazione, sentenza n. 7344/12; Corte di cassazione, sentenza n. 17010/2012).

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