9 Febbraio 2015

Piange il telefono

di Michele D’Agnolo
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Alle volte tornano a galla i ricordi di gioventù. Quando facevo il militare, il mio status di neolaureato mi consentiva di occuparmi di compiti della massima responsabilità. Godevo di una tale fiducia che mi veniva spesso richiesto di portare la racchetta da tennis del comandante a rifare la cordatura. In cambio, il maresciallo mi permetteva di leggere a piacimento quell’inutile giornale pieno di numeri che tanto assomigliava alla sua beneamata Gazzetta dello Sport.

Tra i compiti che svolgevo, tutti della massima importanza per la Nazione, quello più prestigioso era di poter accedere alle aree riservate della caserma. Ovviamente, per pulire per terra. Ricordo che odiavo profondamente la distruggidocumenti che trasformava in minuti coriandoli i telex e gli altri documenti segretissimi. E siccome non c’era il cestino, odiavo ancora di più la camminata distratta degli ufficiali che li scalciavano e li spargevano per ogni dove, annidando piccoli pezzetti nel parquet vecchio e sconnesso, dentro i battiscopa, sotto le gambe delle scrivanie e in ogni altro anfratto.

Una delle cose che mi avevano colpito di più dentro a questi ambienti anonimi spogli, era un grande cartello posto sopra le apparecchiature ricetrasmittenti, che recitava a caratteri cubitali “Il telefono non è un mezzo sicuro di comunicazione”.

A distanza di svariati decenni, quel semplice monito rimane di una attualità sconvolgente per chiunque svolga una attività professionale.

E in effetti, da tangentopoli in poi, passando per le minacce terroristiche di svariata matrice, abbiamo vissuto un’escalation di ascolti da parte delle autorità inquirenti. Ascolti che abbiamo scoperto essere non solo quelli autorizzati ma talvolta anche preventivi, a campione ed effettuati non solo dalle nostre autorità ma anche da quelle di paesi alleati e non. Abbiamo inoltre dovuto verificare, nostro malgrado, l’esistenza di hackers di ogni genere e provenienza animati da semplice odio o da interessi politici o economici.

Eppure rispetto ad un tema così lampante l’ingenuità collettiva è enorme. Non c’è politico, pubblico amministratore o personaggio dello spettacolo che non abbia saputo resistere alla tentazione di dire qualche parola di troppo, sempre pensando di essere in camera caritatis anziché in una candid camera. Fanno quasi tenerezza certe intercettazioni che con buona pace del segreto istruttorio vengono sciorinate sulle pagine dei quotidiani e dei settimanali, e ormai sono spesso rese disponibili anche in rete.

Non dovrebbe essere così difficile capire che parlare al telefono è come prendere un megafono ed andare in una domenica di sole al centro di una affollatissima Piazza dell’Unità d’Italia, oppure, se preferite, è come dirlo in un orecchio al vostro parrucchiere di fiducia. E così basta saper ascoltare che spuntano violazioni amministrative, reati, inciuci politici e amori paralleli destinati ad infrangere carriere politiche, amministrative, imprenditoriali e professionali e a spaiare rispettabili coppie.

L’avvento del cellulare e dei palmtop ha messo in evidenza un altro problema collegato, i telefoni e i pad si possono sottrarre con facilità. E spesso non sono protetti nemmeno da una password, di modo che chi li sottrae non deve fare alcuna fatica per ricostruire in modo facile e completo la nostra rete di rapporti sociali e professionali e i suoi principali contenuti.  

Ma la vulnerabilità delle nostre informazioni è massima quando utilizziamo internet. Ormai la maggior parte delle attività svolte da uno studio professionale viene comunicata attraverso questo strumento. La posta elettronica è fonte di evidenza nei confronti del cliente e quindi è spesso salvifica quando si tratta di rammentare al cliente una scadenza, o di fissare un principio di comportamento a tutela dello studio. Tuttavia le tracce di quanto detto e fatto rimangono indelebilmente impresse nei nostri hard disk. Spesso le informazioni così raccolte sono preziose per il bene della collettività. Molti efferati delitti sono stati sventati analizzando i PC dei sospettati. Qualsiasi perito informatico riesce a risalire ai siti che abbiamo frequentato, alle mail che abbiamo inviato o ricevuto. Anche se abbiamo cercato di cancellare tutto, è come nascondersi dietro un dito.

Sta inoltre prendendo piede l’utilizzo della videoconferenza. A lucro di tempo, anche un appuntamento che un collega milanese fissa dall’altra parte della meneghina metropoli può essere molto più utilmente tenuto utilizzando uno strumento di condivisione a distanza. Anche questo, completamente intercettabile da hacker pilotati dalle più svariate intenzioni.

E quindi nell’esercizio della professione giuridico economica, forse ancora di più che in quella sanitaria, si pongono come indispensabili una serie di cautele operative non di poco conto.

Sotto un primo profilo, possiamo adottare delle soluzioni tecniche che consentono di migliorare la riservatezza di queste comunicazioni. Esistono, soprattutto per il mondo web, una serie di possibilità di cifratura delle comunicazioni mail e dei dati che possono essere addirittura prescritte dalla legge nei casi in cui trattiamo dati sensibili in via informatica. Si pensi alla banalissima trasmissione di un cedolino paga contenente i dettagli di una trattenuta sindacale.

Altre cautele riguardano la previa espunzione dei dati dei clienti dai documenti da trattare on line quali portali OCR, traduttori linguistici o altri manipolatori di testi che possono attingere e raccontare al mondo in anteprima l’interesse o la volontà dei nostri clienti. Anche quanto salviamo in cloud dovrebbe essere oggetto di verifiche riguardo alla serietà e alle misure di sicurezza adottate dai nostri host.

E naturalmente torna in primo piano la necessità di formare clienti e collaboratori ad un utilizzo più consapevole di questi potenti ma vulnerabili strumenti di comunicazione. Questo non perché nei nostri studi si consumino chissà quali attività illecite, ma piuttosto perché oggi come oggi si fa molto presto ad essere fraintesi.

Sovente è il cliente che ha idee un po’ disinvolte, che è nostro compito non avallare e contrastare con benevola fermezza, ma che certamente non è bene discutere per telefono o per mail.  

Il cliente che scopre di avere la cassa in rosso e chiede chiarimenti. Lui a noi… Il cliente che chiede di licenziare una persona per poi riassumerla dieci giorni dopo con una interessante agevolazione, crede di godere di un suo diritto. Purtroppo, non pensa neanche lontanamente che potrà un giorno essere accusato di aver truffato gli enti previdenziali, avendo scientemente cercato di circuirli.

E il teste che chiede all’avvocato cosa sia bene enfatizzare o sottacere nel prossimo interrogatorio crede di fare il bene della causa, e non si pone il problema che un giorno potrà essere accusato di falsa testimonianza o di favoreggiamento.

E allora è molto importante che i nostri clienti e i nostri collaboratori e dipendenti si rendano conto di quali rischi ci si prende a coltivare determinate conversazioni telefoniche e su web. E quindi un collaboratore che intavoli telefonicamente una conversazione potenzialmente pericolosa anziché prevedere un appuntamento de visu non è qualcuno che ottimizza i tempi ma è qualcuno che è meglio si dedichi d’ora innanzi all’ippica o all’agricoltura.

Spesso l’unica soluzione quando i clienti iniziano a sbroccare è quello di interrompere bruscamente la conversazione. Per fortuna il mondo è pieno di gallerie e di vecchie case isolate dove c’è pochissimo campo, pronte a spuntare alla bisogna. Quando i temi si prestano ad apparire scabrosi, meglio insistere per avere un incontro di persona.

A fronte di queste delicatissime situazioni non mancano siparietti di ogni genere. C’è quello che sussurra, credendo che non si possa essere intercettati se si parla a bassa voce. Esiste anche il cliente che proprio non ci arriva e a fronte della tua insistenza ti chiede ripetutamente perché non si possa risolvere il problema telefonicamente. Sono forse quelli che temono di più il potenziale aumento della nostra parcella che di essere scoperti. Oppure sono talmente ingenui da non arrivarci proprio.

Ma i più divertenti sono i temerari, quelli che ti dicono che se ne fregano, tanto sanno di essere ascoltati e magari ne approfittano pure per apostrofare in malo modo gli ipotetici ascoltatori.

Visto che i nostri telefoni non hanno più nemmeno lacrime per piangere, come sarebbe bello, ogni tanto, riascoltare il roboante suono del silenzio.