4 Dicembre 2020

Perché non convincono le norme sul ruolo dei professionisti nella gestione della crisi

di Massimo Buongiorno
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L’entrata in vigore delle nuove norme contenute nel Codice della crisi e dell’insolvenza delle Imprese continua a far discutere. Essa è stata rinviata al 1° settembre 2021 con il Decreto Liquidità (D.L. 23/2020) ma alcuni istituti potrebbero entrare in vigore prima.

La Commissione Affari Costituzionali del Senato ha infatti approvato l’11 novembre 2020 un emendamento al D.L. 123/2020 che consentirà al tribunale di omologare un accordo di ristrutturazione dei debiti ed un concordato preventivo anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria e degli enti previdenziali.

Tale norma era già prevista dall’articolo 48, comma 3 e 5, CCII ma è chiaro che anticiparne l’entrata in vigore, con possibilità di applicazione a tutte le procedure pendenti, può dimostrarsi particolarmente utile nell’attuale frangente.

Nell’ultima settimana, poi, hanno fatto molto rumore le dichiarazioni rese, a margine del Convegno annuale dell’Associazione Albese di Studi di Diritto Commerciale, da Mauro Vitiello, capo dell’Ufficio Legislativo del Ministero della Giustizia e magistrato che molto si è occupato di questioni fallimentari.

Secondo quanto riportato dalle testate nazionali, il Governo intenderebbe anticipare l’entrata in vigore di ulteriori discipline contenute nel Codice della Crisi ed introdurre alcune modifiche non previste dallo stesso Codice.

Elementi interessanti di novità riguardano soprattutto gli accordi di ristrutturazione dei debiti per i quali si dovrebbero anticipare gli accordi ad efficacia estesa verso tutte le tipologie dei creditori e non solamente nei confronti delle banche come oggi previsto dall’articolo 182-septies L. F. ed anche la possibilità di dimezzare dal 60% al 30% la soglia minima di creditori partecipanti all’accordo. Per i concordati preventivi in continuità si anticiperebbero le misure volte ad aumentare la moratoria nei pagamenti ai creditori privilegiati da uno a due anni (articolo 86 CCII).

Le dichiarazioni più controverse riguardano però i professionisti per i quali:

  1. è prevista una riduzione dei compensi del 25%;
  2. la corresponsione è legata all’esito positivo della procedura;
  3. in caso di successivo fallimento (liquidazione giudiziale secondo il Codice della crisi), i compensi prededucibili sono limitati al 75% ma solamente per gli accordi omologati dal tribunale e per i concordati preventivi ammessi (articolo 6 CCII).

I temi ai punti 1 e 2 ritornano dalle bozze di decreti attuativi della Legge Delega 115/2017 predisposti dalla Commissione Rordorf riconvocata per questo scopo, come correttamente notato anche da Andrea Foschi, Consigliere Cndcec con delega alla crisi di impresa.

In particolare, all’articolo 8 erano previste tariffe massime praticabili da calcolare sulla base di percentuali variabili a seconda del tipo di procedura e delle dimensioni dell’attivo dell’impresa. Tali tariffe riguardavano tutti i professionisti coinvolti nelle procedure sia di nomina del debitore sia del Tribunale. Lo stesso articolo, al comma 2, prevedeva che fossero revocabili gli acconti eccedenti il 25% dell’importo complessivo.

Il Codice della Crisi, nella sua versione attuale non accoglie questo articolo, eliminato a seguito delle vivaci proteste degli Ordini interessati. Ora però pare di cogliere che, nell’ottica di ridurre i costi delle procedure e quindi incrementare il soddisfacimento dei creditori nelle diverse procedure, questo tema voglia ritornare.

Non è chiaro come si debba applicare la riduzione del 25% ai compensi ed in particolare se essa riguarderà gli incarichi già in corso. È anche difficile comprendere rispetto a quale base si dovrà applicare tale riduzione, specie per gli incarichi di nomina da parte del debitore che non prevedono tariffe specifiche.

Al di là delle modalità applicative, paiono da valutare con attenzione misure di questo tipo che, intuendo un retropensiero punitivo nei confronti di quei (pochi) professionisti che adottano comportamenti opportunistici, si rischia di danneggiare la maggior parte che svolge un ruolo imprescindibile nella gestione della crisi.

Da evitare quindi il rischio che la limitazione dei compensi possa svilire il contenuto delle prestazioni professionali producendo un danno maggiore dei benefici che si intende ottenere.

Ancora più critica, e a parere degli Autori, difficilmente attuabile è l’introduzione di success fee che possono funzionare solamente nei casi di consulenza al debitore finalizzata al buon esito di una procedura ma sono contrari al mantenimento della necessaria indipendenza dell’attestatore, del commissario giudiziale e del curatore fallimentare.

Più condivisibile la limitazione delle prededucibilità ai casi nei quali l’attività svolta dal professionista ha mostrato una utilità, tuttavia andrebbero meglio definite le fattispecie essendo possibile, e non solamente in astratto, che la procedura non abbia avuto utilità per cause assolutamente non imputabili al professionista che ha invece agito con la dovuta diligenza.

Rimane infine non chiaro, ma non è una novità, per quali motivi la prededuciblità debba essere limitata al 75% del compenso.