21 Aprile 2021

Per un’agricoltura sempre più green e circolare

di Luigi Scappini
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Ormai è evidente come le politiche comunitarie siano rivolte verso un’economia sempre più sostenibile e quindi green.

Forse in quest’ottica sarebbe stato utile incentivare maggiormente, nell’ambito ad esempio del credito per l’acquisto di beni strumentali, la scelta verso soluzioni meno impattanti in termini ambientali.

Sicuramente il comparto agricolo risponde appieno, in ragione della sua multifunzionalità a tali esigenze e obiettivi, tant’è che sin dall’ormai lontano 2005 il Legislatore, tramite la Legge Finanziaria per il 2006 (L. 266/2005) e più precisamente l’articolo 1, comma 423 ha previsto che “…la produzione e la cessione di energia elettrica e calorica da fonti rinnovabili agroforestali e fotovoltaiche nonché di carburanti ottenuti da produzioni vegetali provenienti prevalentemente dal fondo e di prodotti chimici derivanti da prodotti agricoli provenienti prevalentemente dal fondo effettuate dagli imprenditori agricoli, costituiscono attività connesse ai sensi dell’articolo 2135, terzo comma, del codice civile.”.

Tali attività sono suddivisibili in 4 tipologie:

  • produzione di energia elettrica e calorica da fonte fotovoltaica;
  • produzione di energia elettrica e calorica da fonte agroforestale;
  • produzione di carburanti vegetali; e
  • produzione di prodotti chimici.

Da un punto di vista fiscale, la qualifica di attività connesse ha, in origine, permesso di fruire di una tassazione light fermo restando il rispetto del parametro della prevalenza.

Successivamente, con l’articolo 22 D.L. 66/2014 e, in via definitiva, con la Legge di Stabilità per il 2016 si è modificato il regime impositivo per la produzione fotovoltaica e agroforestale prevedendo che una parte rientra nel reddito agrario mentre l’eccedenza è tassata quale prestazione di beni e servizi in misura forfettaria pari al 25% del volume d’affari generato.

Al contrario, la produzione di carburanti vegetali, quali il biogas, e di prodotti chimici vegetali trova, al rispetto dell’utilizzo prevalente di prodotti derivanti dalla propria attività agricola principale, piena copertura nel reddito fondiario.

Per supportare un’economia sempre più green, il Legislatore ha introdotto anche alcune forme incentivanti quali sono, ad esempio, i c.d. certificati bianchi che vengono riconosciuti per progetti di efficientamento energetico e che, da un punto di vista fiscale, come chiarito con la consulenza giuridica n. 954-21/2014 del 15 maggio 2015, trovano piena copertura nel reddito agrario.

Altra tipologia di certificati green presente sul mercato italiano e non solo, è quella rappresentata dai VERs, consistenti in “quote di emissione“, o, per meglio dire, nel diritto a emettere una tonnellata di biossido di carbonio per un periodo determinato.

In altri termini, il Legislatore, invece di adottare una vera e propria politica premiale nei confronti dei soggetti green, ad esempio garantendo dei contributi o delle detassazioni, di fatto incentiva permettendo la permanenza sul mercato di chi produce inquinando.

L’aumento della forestazione e delle piantagioni sicuramente può rappresentare una strada per il miglioramento dell’aria e, quindi, perché non riconoscere anche all’attività di cessione dei crediti di emissione CO2 natura di attività connessa con conseguente tassazione su base catastale dei ricavi ottenuti?

Tale è stata la domanda di una società agricola cui l’Agenzia delle entrate, con la risposta a interpello n. 365/2020 ha dato risposta.

L’istante, in particolare, riteneva di poter ricondurre tali cessioni nell’ambito dell’articolo 56-bis Tuir e, in particolare tra le attività dirette alla fornitura di servizi per le quali il comma 3 prevede una tassazione in misura pari al 25% dell’ammontare dei corrispettivi delle operazioni registrate o soggette a registrazione ai fini Iva.

Purtroppo la risposta dell’Agenzia delle entrate è stata negativa in ragione della circostanza per cui la cessione delle quote di emissione, i c.d. VERs, derivanti dal “sequestro” di CO2 realizzato volontariamente mediante la coltivazione del fondo non viene espressamente qualificata come attività connessa a quella agricola da alcuna norma come, al contrario, avviene per le attività di cui al comma 423 della Finanziaria per il 2006.

Tale conclusione, che bisogna precisare è corretta in punto di interpretazione della norma, porta, quale conseguenza indiretta, che tale attività non potrà mai essere oggetto di una società agricola come definita dall’articolo 2, D.Lgs. 99/2004 in quanto l’Agenzia delle entrate, negando l’applicabilità del regime fiscale di cui all’articolo 56-bis Tuir ha precisato che il motivo deriva dal fatto che l’attività “non è assimilabile a quelle di cui al comma 3 dell’articolo 2135 del codice civile”.

Come noto, infatti, per essere società agricole è necessario avere quale oggetto esclusivo l’esercizio delle attività previste dall’articolo 2135 cod. civ..

A ben vedere, siffatta impostazione comporta l’impossibilità dell’esercizio di tale attività anche da parte delle società semplici, a prescindere dall’eventuale qualifica di società agricola, in quanto per queste forme societarie, come noto, è inibito l’esercizio di un’attività commerciale quale è la cessione dei VERs.

Il tutto nella speranza di una modifica della norma, in modo tale da perseguire veramente un’economia sempre più green e circolare come auspicato dalla stessa Unione Europea.