7 Maggio 2015

Per la Cassazione l’omesso Reverse charge non genera danni erariali

di Francesco Greggio
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Con la sentenza della Corte di Cassazione del 15/04/2015 n.7576 i giudici hanno stabilito che non genera danni erariali l’omesso reverse charge in relazione ad acquisti intracomunitari, pertanto la violazione commessa ha natura formale.

La fattispecie in esame giunta dinanzi ai giudici ermellini nasce con riferimento ad una società di diritto italiano a causa dell’omessa integrazione di fatture di acquisto intracomunitarie di beni, con la conseguente mancata annotazione delle stesse nel registro Iva delle fatture emesse, venendo meno alle disposizioni di cui agli art. 46 e 47 del D.L. 331/93.  L’Amministrazione finanziaria, preso atto dell’inadempienza della società, negando il diritto alla detrazione dell’Iva, irrogava una sanzioni pari al 100% dell’imposta considerando l’omissione una violazione sostanziale.

In effetti, l’art. 6 del D.Lgs. 471/1997 considera il mancato assolvimento dell’Iva, anche mediante il meccanismo dell’inversione contabile cd. esterno, punibile con una sanzione amministrativa dal 100% al 200% dell’imposta con un minimo di Euro 258.

Solo con riferimento al reverse charge interno (artt.17 e 74 del decreto Iva), qualora l’imposta sia stata assolta, ancorchè irregolarmente, dal cessionario o committente ovvero dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto alla detrazione, la sanzione amministrativa è ridotta al 3% dell’imposta irregolarmente assolta, con un minimo di 258 Euro e comunque non oltre 10.000 Euro per le irregolarità commesse nei primi tre anni di applicazione (ex art.6, comma 9-bis, D.Lgs. n.471/97) . Pertanto, in tale fattispecie, tutte le volte in cui in sede di controllo riscontri inadempimenti collegati al meccanismo del reverse charge, l’Amministrazione dovrà applicare l’una o l’altra sanzione irrogando quella più grave qualora l’Iva relativa alla specifica operazione non sia stata in alcun modo assolta.

Contrariamente alle pretese dell’Agenzia delle Entrate, la Corte ha concluso che, essendo stati soddisfatti tutti i requisiti sostanziali, in quanto gli acquisti delle merci sono stati effettuati da un soggetto passivo d’imposta e finalizzati ad essere impiegati ai fini di operazioni imponibili, l’Amministrazione stessa non può imporre ai fini della detrazione dell’Iva condizioni supplementari che hanno la conseguenza di vanificare l’esercizio della detrazione. Inoltre, considerando che l’omissione della doppia annotazione delle fatture non genera alcun danno erariale, poiché il risultato fiscale finale sarebbe stato comunque identico sul piano impositivo per effetto della prevista neutralizzazione bilaterale dell’Iva, la violazione non può che essere qualificata come di natura formale.

Per completezza informativa, occorre precisare che i giudici della sentenza in esame hanno recepito quanto già indicato con la sentenza della Corte di giustizia europea del 11/12/2014 C-590/13 che ha risolto i dubbi interpretativi della norma in materia di omesso reverse charge. Infatti il disposto della sentenza dei giudici comunitari, che peraltro conferma la sentenza dell’8 maggio 2008 della corte di giustizia CEE, relativa alle cause C-95/07 e C-96/07, va a sconfessare la prassi dell’accertamento seguito dall’Amministrazione finanziaria italiana, che, nelle operazioni soggette a reverse charge per acquisti intracomunitari di beni e servizi, ha sempre ritenuto il cessionario o il committente responsabile del pagamento dell’imposta, negandogli il diritto alla detrazione nel caso in cui al momento dell’accertamento fosse trascorso il termine biennale ai sensi dell’art. 19 del d.P.R 633/72 (Risoluzione n.56/E/2009).

Infatti secondo la Corte, il principio di “neutralità dell’Iva esige che il diritto alla detrazione dell’imposta a monte sia accordata se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti, anche se taluni obblighi formali sono stati omessi dai soggetti” e non è quindi conforme al diritto comunitario una normativa nazionale che imponga condizioni ulteriori che possano avere l’effetto di vanificare il diritto alla detrazione. Inoltre la stessa fa anche rilevare che nel mancato assoggettamento ad Iva delle operazioni in reverse charge non sussiste il rischio di danno erariale per mancate entrate fiscali, in quanto l’imposta a debito e a credito si compensano.

In merito alla possibilità dell’Amministrazione finanziaria di irrogare sanzioni prive di ragionevolezza e proporzionalità  per punire un’irregolarità formale che non comporti alcuna perdita di gettito per l’erario, i giudici comunitari non si sono espressi in maniera diretta ma suggeriscono un’indicazione al riguardo che la stessa sia  “proporzionale alla gravità dell’infrazione”, fattispecie che necessariamente deve essere interpretata assieme all’art. 3 c.10 L. n.212/2000 (c.d. Statuto del Contribuente) secondo il quale “ le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione…si traduce in una mera violazione formale  senza alcun debito d’imposta”.