2 Ottobre 2017

Omesso versamento dell’Iva e delle ritenute in sede concordataria

di Andrea Rossi
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Una delle problematiche che molto spesso le imprese devono affrontare nell’ambito della crisi di impresa, attiene al mancato versamento dell’Iva (articolo 10-ter del D.Lgs 74/2000) e delle ritenute (articolo 10-bis del D.Lgs. 74/2000); si tratta infatti di un aspetto caratterizzante la maggior parte delle procedure concorsuali, laddove l’impresa preferisca pagare i propri dipendenti e fornitori a scapito dell’erario, essendo quest’ultimo un creditore quantomeno silente nel breve periodo.

In merito a ciò, si vuole ricordare che con la riforma operata dal D.Lgs. 158/2015, la soglia di punibilità per il reato di omesso versamento dell’Iva, è stata innalzata ad euro 250.000, mentre per l’omesso versamento di ritenute dovute o certificate, la stessa soglia è stata elevata ad euro 150.000; non si può non evidenziare, secondo lo scrivente, come dal rinnovato quadro normativo introdotto dal D.Lgs. 158/2015, l’omesso versamento delle ritenute viene sanzionato, in relazione alla soglia di punibilità, in modo ingiustificatamente peggiore rispetto al reato previsto per l’omesso versamento dell’Iva; pertanto, il trattamento disomogeneo di due fattispecie tra loro simili per quanto attiene la gravità della condotta del legale rappresentante della società, potrebbe potenzialmente ledere i principi statuiti dalla Convenzione Pif.

Si ritiene inoltre opportuno evidenziare come la giurisprudenza prevalente, laddove l’omesso versamento dell’Iva o delle ritenute sia conseguente ad una conclamata crisi di liquidità della società tale da impedire il regolare assolvimento dell’obbligo tributario, escluda la punibilità dell’imprenditore per il reato previsto dagli articoli 10-bis e 10-ter del D.Lgs. 74/2000; il presupposto a base della non punibilità deriva dalla mancanza dell’elemento psicologico del dolo generico, laddove  l’imprenditore in difficoltà sia stato ammesso al concordato preventivo in un momento antecedente alla scadenza del termine per il versamento di dette ritenute (ovvero dell’Iva), poiché dalla richiesta di ammissione a tale procedura emergerebbe la volontà del debitore a far fronte alle cause del dissesto, cercando pertanto di superare la crisi di liquidità, causa appunto del mancato pagamento del debito nei confronti del Fisco.

In merito ai presupposti di applicazione dei citati articoli 10-bis e 10-ter del D.Lgs. 74/2000, già approfonditi più volte dalla giurisprudenza di merito, si vogliono richiamare in questa sede le indicazioni fornite da una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 35786 del 20 luglio 2017), nella quale i giudici respingono il ricorso di un legale rappresentante di una società che chiedeva l’annullamento dell’ordinanza di sequestro preventivo dei propri beni personali, scaturita a seguito del mancato versamento, appunto, dell’Iva; i motivi alla base del ricorrente per chiedere l’annullamento dell’ordinanza di sequestro attenevano al fatto che la società, prima della scadenza per il versamento dell’Iva,  era stata ammessa al concordato preventivo e, conseguentemente, l’eventuale pagamento del debito Iva sarebbe avvenuto in palese violazione della par condicio creditorum;  secondo i giudici di merito, la sola ammissione al concordato preventivo non è ora più sufficiente per salvaguardare il rappresentante legale dal reato di cui al citato articolo 10-ter, anche laddove l’ammissione sia precedente alla scadenza del termine per il pagamento dello stesso debito. Infatti, secondo i giudici della terza sezione, sarebbe necessario,

  • sia prevedere espressamente nel piano di concordato (e si ritiene conseguentemente nell’accordo di ristrutturazione del debito) una dilazione di pagamento del debito per Iva o ritenute (anche a seguito della transazione fiscale) in epoca successiva alla scadenza del termine per l’insorgere del reato,
  • sia ottenere il decreto di omologa prima di tale data.

Siamo pertanto di fronte ad una sentenza che modifica l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, ma che trova sicuramente il proprio fondamento nell’ennesimo disallineamento tra normativa penale e normativa fallimentare; pertanto, secondo lo scrivente, è maggiormente ragionevole l’orientamento di quella parte della giurisprudenza che ritiene non necessaria l’omologa ma la semplice ammissione al concordato in un momento antecedente alla scadenza del termine per il versamento dell’Iva ovvero delle ritenute, escludendo conseguentemente l’ipotesi di reato in siffatta fattispecie.

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