13 Luglio 2020

Obbligazioni in pegno e insinuazione al passivo della banca

di Francesca Dal Porto
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La scheda di FISCOPRATICO

Nel caso in cui un Istituto di Credito si insinui allo stato passivo di un fallimento, indicando nella domanda di insinuazione un importo a credito al netto della somma ricavata grazie alla vendita di alcune obbligazioni della società fallita date in pegno precedentemente alla dichiarazione di fallimento, quali valutazioni deve effettuare il curatore fallimentare?

Può accadere che prima della sentenza di fallimento l’imprenditore fallito abbia dato in pegno, con regolare contratto, alcune obbligazioni di sua proprietà a favore della banca, a garanzia di una linea di credito concessa.

In questo caso, la banca ha proceduto alla liquidazione di tali attività finanziarie e ha trattenuto la somma così ottenuta a deconto del maggior credito spettante, insinuandosi per la differenza che residua allo stato passivo. A fondamento del proprio comportamento, la banca pone l’articolo 4 D.Lgs. 170/2004.

Ai sensi dell’articolo 4 D.Lgs. 170/2004, comma 1, lett. b), “Al verificarsi di un evento determinante l’escussione della garanzia, il creditore pignoratizio ha facoltà, anche in caso di apertura di una procedura di risanamento o di liquidazione, di procedere osservando le formalità previste nel contratto:

  1. alla vendita delle attività finanziarie oggetto del pegno, trattenendo il corrispettivo a soddisfacimento del proprio credito, fino a concorrenza del valore dell’obbligazione finanziaria garantita;
  2. all’appropriazione delle attività finanziarie oggetto del pegno, diverse dal contante, fino a concorrenza del valore dell’obbligazione finanziaria garantita, a condizione che tale facoltà sia prevista nel contratto di garanzia finanziaria e che lo stesso ne preveda i criteri di valutazione;”

Il curatore, di conseguenza, deve verificare se tale previsione è contenuta nel contratto di pegno stipulato tra debitore e Banca.

È altresì importante che il curatore cerchi di capire quale sia la natura del pegno in questione. Dalla natura dello stesso, infatti, possono discendere importanti conseguenze. In particolare, il pegno può essere “regolare” o “irregolare”.

La giurisprudenza di legittimità è consolidata nell’affermare che si rientra nella disciplina del pegno irregolare qualora il debitore, a garanzia dell’adempimento della sua obbligazione, abbia vincolato al suo creditore un titolo di credito o un documento di legittimazione individuati conferendo a quest’ultimo anche la facoltà di disporre del relativo diritto (Cassazione n. 3674/2014, n. 12964/2005, n. 21237/2004).

Più in particolare, la giurisprudenza di legittimità ha affermato a chiare lettere che “la possibilità di configurare come irregolare il pegno avente ad oggetto un libretto di deposito al portatore non soltanto presuppone che questo sia stato emesso dalla stessa banca creditrice che lo riceve poi in garanzia (…) ma anche che il contratto di costituzione di pegno riconosca a detta banca il potere di immediatamente disporne. Non diversamente da quel che accade per la costituzione in pegno di somme di danaro, di titoli o di altri beni fungibili, insomma, il dato che rileva ai fini della configurabilità del pegno come irregolare non è solo costituito dalla natura del bene, ma anche e soprattutto dalla volontà delle parti di conferire al creditore la facoltà di disporre del bene stesso (o, nel caso si tratti di titolo di credito o documento di legittimazione, del relativo diritto) per soddisfare i propri crediti: facoltà di disposizione solo in presenza della quale la fattispecie esula dai confini del pegno regolare per rientrare, viceversa, nella disciplina prevista dall’art. 1851 c.c.” (Cassazione n. 24865/2014, n. 3794/2008).

Il curatore, quindi, dovrà verificare se il contratto di pegno prevede l’appropriazione delle attività finanziarie da parte della banca e se, in generale, riconosce alla banca la possibilità di disporre liberamente dei titoli costituiti in pegno o delle somme derivanti dal rimborso degli stessi.

Nel caso in cui nel contratto di pegno sia contenuta una disposizione che prevede la facoltà per la banca di vendere i titoli costituiti in pegno solo in caso di inadempimento delle obbligazioni garantite, deve ritenersi che la banca non abbia la possibilità di disporre liberamente dei titoli. In questo caso, al pegno può attribuirsi la natura di pegno “regolare” con le conseguenze che ne derivano.

Solo in caso di pegno irregolare, infatti, il creditore acquista immediatamente la proprietà dei titoli depositati presso di esso e non è tenuto ad insinuarsi al passivo fallimentare per il soddisfacimento del proprio credito, operando la compensazione come modalità tipica di esercizio della prelazione.

Nel caso di specie, quindi, il curatore dovrà chiedere alla banca la restituzione delle somme ottenute dalla liquidazione delle attività finanziarie (obbligazioni) date a garanzia, che andranno così ad alimentare la massa attiva fallimentare. Le stesse saranno oggetto di un successivo riparto a favore del creditore titolare della garanzia rappresentata dal pegno ma solo dopo aver trattenuto, da tali somme, la quota parte necessaria per la copertura delle spese di procedura prededucibili.

Diversamente, l’attivo fallimentare rappresentato dal realizzo di tali obbligazioni sarebbe andato a soddisfare integralmente il creditore garantito (la banca) senza contribuire a pagare i debiti di massa come invece il resto dell’attivo fallimentare, con lesione della par condicio creditorum.