30 Luglio 2019

Note di variazione: la crisi dell’impresa consente il recupero dell’Iva

di Marco Bargagli
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La normativa sostanziale di riferimento in materia di Iva consente, a determinate condizioni, l’emissione di una nota di variazione in diminuzione dell’imponibile e dell’imposta.

In particolare, l’articolo 26 D.P.R. 633/1972 (di seguito decreto Iva) prevede che se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione nel registro delle fatture emesse o dei corrispettivi (di cui agli articoli 23 e 24 del decreto Iva) viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza:

  • di una dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili;
  • di un mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose ossia a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi della Legge fallimentare, ovvero di un piano attestato di risanamento pubblicato nel registro delle imprese;
  • dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente,

il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione (ex articolo 19 del decreto Iva) l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola nel registro degli acquisti a norma dell’articolo 25 del citato decreto.

In merito, giova ricordare che, qualora successivamente all’emissione e alla registrazione della fattura, diminuiscono l’imponibile e/o l’Iva relativa (ad esempio, per dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione del contratto, procedure concorsuali o esecutive, rimaste infruttuose, applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, anche in forma orale), il cedente ha la facoltà  (ai sensi dei commi 2 e 3, del citato articolo 26 del decreto Iva) di operare una variazione in diminuzione dell’imposta precedentemente fatturata attraverso l’emissione di un’apposita “nota di accredito”.

A questo punto l’acquirente che ha già registrato la fattura originale, provvede a registrare la nota di accredito sempreché il cedente abbia deciso di avvalersi della facoltà di operare la variazione in diminuzione. Tuttavia le variazioni in diminuzione, derivanti da sopravvenuti accordi tra le parti o da rettifica di inesattezze nelle fatture, devono essere effettuate entro un anno dalla data dell’operazione imponibile.

Di contro, le altre variazioni possono avvenire senza limiti temporali: è questo il caso di sconti contrattualmente previsti anche in forma orale, nullità, annullamento, rescissione, revoca del contratto, procedure concorsuali o esecutive rimaste infruttuose (cfr. Manuale in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza volume III – parte V – capitolo 6 “Il riscontro analitico-normativo sull’osservanza della disciplina Iva”, pag. 164 e ss.).

Interessanti principi logico-giuridici riferiti alla possibilità di emettere una nota di variazione in presenza di procedure concorsuali, che fanno ritenere improbabile la possibilità di saldare il debito da parte del cessionario, sono rinvenibili nella sentenza n. 145/2/2019 depositata in data 17.04.2019, emessa da parte della CTP Vicenza.

In particolare, il giudice tributario ha accolto il ricorso del contribuente che aveva emesso note di credito nei confronti di vari clienti soggetti alle richiamate procedure concorsuali (concordati preventivi e fallimenti).

La controversia de qua era nata a seguito del recupero a tassazione operato dall’Ufficio finanziario, che aveva contestato la detraibilità dell’Iva esposta su n. 25 note di variazione in diminuzione dell’imponibile e dell’imposta, riportate nel rigo VE25 della dichiarazione annuale Iva, emesse, come detto, nei confronti di diversi soggetti esposti a procedure concorsuali.

A parere dell’Amministrazione finanziaria si trattava di operazioni sulle quali, nonostante la documentazione prodotta dalla società ricorrente, sarebbero mancati i requisiti previsti dall’articolo 26 del decreto Iva.

In merito, il giudice di prime cure ha effettuato un ampio excursus del contesto normativo di riferimento, richiamando anche la giurisprudenza e la normativa unionale emanata in subiecta materia.

Come si legge in sentenza, l’attuale formulazione dell’articolo 26 del decreto Iva, dopo la modifica contenuta nell’articolo 13-bis, comma 1, D.L. 79/1997, consente al soggetto attivo di un’operazione soggetta ad Iva (rectius il cedente del bene o prestatore del servizio) di recuperare l’imposta addebitata in fattura quando, per cause originarie o sopravvenute, detta operazione imponibile viene meno in tutto o in parte, ossia si verifica una riduzione del relativo ammontare imponibile.

Quindi, è possibile emettere note di credito nel caso di un mancato pagamento, totale o parziale delle fatture da parte del cliente insolvente, a causa di procedure concorsuali per le quali sia stata accertata la definitiva infruttuosità.

In buona sostanza, il legislatore ha previsto che la condizione di infruttuosità (in precedenza riferita alle sole procedure esecutive), venisse estesa anche alle procedure concorsuali, consentendo al cedente di un bene o a un prestatore di un servizio di recuperare, attraverso la variazione in diminuzione, l’imposta versata anticipatamente all’erario.

Ciò posto il giudice tributario, a differenza di quanto sostento dall’Agenzia delle entrate (che condiziona il diritto al recupero dell’imposta alla definitiva chiusura della procedura concorsuale), si è allineato all’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia Europea derivante dall’applicazione dell’articolo 90 Direttiva 2006/112/CE, in base al quale è prevista una duplice facoltà:

  • quella a favore del contribuente, che può ridurre la base imponibile al verificarsi di determinate condizioni (paragrafo 1);
  • quella appannaggio dei singoli Stati membri, finalizzata a limitare tale possibilità di rettifica nelle ipotesi in cui il corrispettivo non sia stato pagato in tutto o in parte (paragrafo 2).

La Corte di giustizia europea, con la sentenza 23.11.2017 (causa C-246/16) ha evidenziato che la predetta facoltà di deroga “non può interpretarsi nel senso di considerare gli Stati membri liberi di escludere del tutto la riduzione della base imponibile Iva, perché una siffatta previsione finisce per violare sia il principio di divieto di riscossione dell’imposta per un importo superiore a quello percepito, sia il principio di neutralità”.

In particolare, in nessun caso la Corte di giustizia europea ha condizionato esplicitamente il diritto ad emettere la nota di variazione in diminuzione come esperibile soltanto alla scadenza del decimo anno di apertura della procedura, stabilendo che tale riconoscimento deve avvenire ogniqualvolta il soggetto segnali la sussistenza con “ragionevole certezza” che il debito non potrà più essere saldato.

In definitiva, nel caso esaminato da parte del giudice di merito, la domanda di adesione al concordato preventivo e la relazione del curatore per quanto riguarda il fallimento, attestano con sufficiente oggettività l’esistenza della ragionevole probabilità che il debito non venga saldato, con la conseguenza che la tesi prospettata da parte dell’Agenzia delle entrate risulta in “palese contrasto” con la normativa Europea sopra citata.

Il processo tributario