9 Settembre 2020

Non imponibile l’utilizzo del fondo spese formato con l’avanzo di fusione

di Fabio Landuzzi
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La scheda di FISCOPRATICO

La Corte di Cassazione nella Ordinanza n. 15757/2020 ha affermato il seguente interessante principio di diritto: “In base ai principi della neutralità e della simmetria fiscale della fusione e della scissione di società (articoli 172 e 173 Tuir), l’avanzo da annullamento – generato da una serie di operazioni straordinarie (fusione, scissione, etc.), che sia riconducibile alla sopravvalutazione del patrimonio netto della società fusa o incorporata rispetto al suo valore effettivo, o alla previsione di perdite ed oneri futuri o di un badwill correlato alle attività della società fusa o incorporata – ove sia inscritto, ex articolo 2504-bis, quarto comma, cod. civ., tra i fondi ed oneri del passivo dello stato patrimoniale della società risultante dalla fusione o della società incorporante e, quindi, sia effettivamente utilizzato per la copertura degli oneri e delle perdite civilistiche della società fusa o incorporata (al momento del loro manifestarsi), è irrilevante sotto il profilo fiscale, nel senso che non determina alcun prelievo fiscale”.

La vicenda nasce da un accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di una società beneficiaria di una scissione, a sua volta preceduta da una fusione da cui era emerso un avanzo da annullamento; tale avanzo, per la parte eccedente la quota allocata alla ricostituzione di eventuali riserve in sospensione di imposta, venne iscritto in fondo per rischi ed oneri futuri in considerazione del badwill ascrivibile al compendio aziendale e, in generale, alla previsione di perdite future; tale fondo venne poi utilizzato l’anno seguente proprio per la copertura di perdite sofferte nella gestione dell’impresa.

L’Agenzia delle Entrate aveva contestato che tale utilizzo del fondo per rischi ed oneri formato dall’avanzo di annullamento dovesse concorrere alla formazione del risultato imponibile nell’esercizio del suo utilizzo, tanto nel caso di riversamento al conto economico, quanto nel caso di utilizzo diretto a copertura delle perdite.

La Corte di Cassazione, nell’Ordinanza in commento, conferma invece la correttezza del comportamento tenuto dalla società e l’assoluta assenza di presupposti impositivi nel caso di specie, e lo fa muovendo essenzialmente da tre presupposti fondamentali:

  1. il primo, di contenuto civilistico e relativo alla natura giuridica della fusione come vicenda meramente modificativa dell’assetto societario dell’impresa, priva di qualsivoglia effetto estintivo e tantomeno successorio (tesi condivisa ampiamente in giurisprudenza: Cassazione, SS.UU., n. 2637/2006, Cassazione, n. 3220/2019);
  2. il secondo, di contenuto sempre civilistico e di estrazione contabile, il quale si richiama al disposto di cui all’ultimo periodo del comma 4 dell’articolo 2504-bis cod. civ. e dell’Oic 4, ai sensi del quale se dalla fusione emerge un avanzo, esso è iscritto ad apposita voce del patrimonio netto, ovvero, quando sia dovuto a previsione di risultati economici sfavorevoli, in una voce dei fondi per rischi ed oneri;
  3. il terzo tassello è infine di matrice fiscale, e richiama il principio di neutralità della fusione (e della scissione) la quale, come sottolinea la Cassazione, non comportando alcuna soluzione di continuità nella gestione dell’impresa, non realizza trasferimento di ricchezza da una società all’altra, e né produce una vicenda estintiva o costitutiva di un ente, ma solo un mutamento dell’atto costitutivo, senza perciò poter mai portare all’emersione di materia imponibile.

Tale principio risulta peraltro affermato in modo molto chiaro proprio nella Relazione di accompagnamento allo schema del Tuir, in cui si precisa che anche la fusione, come la trasformazione, nel sistema delle imposte sui redditi, conserva le caratteristiche che le sono proprie nel diritto civile; si tratta perciò di operazioni che attengono esclusivamente allo status di imprenditore, e non alla gestione dell’impresa, così che esse lasciano “inalterati i rapporti giuridici esterni, compresi quelli tributari” e quindi non possono costituire “fatti generatori di redditi o perdite”.