6 Ottobre 2015

Niente sanzioni se la questione è controversa

di Giovanni ValcarenghiPaolo Noventa
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Nell’attesa della pubblicazione del decreto sulla revisione del sistema sanzionatorio, ci pare utile commentare una recente sentenza della Cassazione (la n. 19412 depositata il 30 settembre scorso) nella quale i Giudici hanno concesso la possibilità di disapplicare le sanzioni in accertamento a fronte di una situazione di caos fiscale.

L’incertezza del comportamento assunto dal contribuente, dunque, legittima il recupero delle imposte ma non l’applicazione delle sanzioni; un principio, questo, che viene abitualmente applicato in altri ordinamenti tributari e che serve da calmiere per indurre l’amministrazione finanziaria e, ancor prima, il Legislatore ad agire in modo chiaro ed ordinato, affinché l’operatore possa sapere con certezza quale sia il comportamento da tenere. In difetto, l’errore non potrà essere accompagnato dalla applicazione di sanzioni.

Oggetto della controversia erano avvisi di accertamento nel comparto dell’IVA, con i quali si contestava la mancata applicazione del tributo su somme che la CTR riteneva prestazioni di servizio ulteriori rispetto alla prestazione principale, vale a dire la rivendita in concessione di autoveicoli. Quindi tali somme non potevano essere gestite come sconti, abbuoni o variazioni in diminuzione sul prezzo di acquisto dei veicoli destinati alla rivendita, ma avrebbero richiesto una autonoma fatturazione assoggettata al tributo.

Sulla questione specifica, la Corte aveva già manifestato il proprio pensiero nelle sentenze 5006 del 05-03-207 e 6475 del 19-03-2007, definendo il confine tra “sconto (od abbuono) commerciale” praticato, dal cedente sul prezzo di fornitura -in conseguenza del quale il cedente ha diritto di portare in detrazione l’IVA corrisposta sulla nota di variazione, e “premi o bonus” riconosciuti ai concessionari di vendita, periodicamente od a fine rapporto, per il raggiungimento di specifici obiettivi o risultati (ad es. volume d’affari; ampliamento della clientela; numero di contratti; penetrazione territoriale del mercato, ecc.), ove contrattualmente predeterminati.

Infatti:

  • lo sconto è una componente che incide direttamente sul prezzo della merce compravenduta o del servizio scambiato, riducendone l’ammontare dovuto per le singole operazioni compiute;
  • il premio di fine anno è, invece, un contributo autonomo riconosciuto indistintamente a fine esercizio al cliente al raggiungimento di un determinato target.

Ci interessa, invece, la parte della pronuncia nella quale ci si sofferma sulla debenza delle sanzioni, posto che il contribuente aveva, in via subordinata, richiesto la disapplicazione delle medesime, senza che la CTR avesse specificamente analizzato tale richiesta.

Rilevano, infatti, i Giudici che la domanda di applicazione dell’esimente di cui agli artt. 10, comma 3 della Legge 212/2000, 8 D.Lgs. 546/1992 e 6, comma 2 D.Lgs. 472/1997, deve ritenersi fondata.

La ricorrente, a sostegno della incertezza normativa aveva addotto specifici e convergenti elementi indiziari, quali:

  • l’ondivago comportamento della amministrazione, più volte ritornata, con soluzioni divergenti, sulla setta materia (RM 120/E/2004, RM 36/E/2008, nota 2009/74786);
  • le stesse ammissioni dell’Agenzia che aveva dato atto che la questione ha dato origine, in particolare a partire dal 2007, ad un diffuso contenzioso.

La stessa Cassazione (sentenza 17250 del 29-07-2014) aveva già rilevato come l’Agenzia avesse ritenuto opportuno disporre che gli Uffici procedessero ad un riesame degli accertamenti già effettuati, “in ragione delle difficoltà connesse, per un verso, alla netta differenziazione, all’interno dei singoli contratti conclusi fra concessionari e casa madre, fra bonus c.d. quantitativi – considerati esenti da IVA in quanto soggetti alla disciplina di abbuoni e sconti- e bonus qualitativi – invece qualificali come relativi a prestazioni di servizio aggiuntive da parte dei concessionari, come tali soggetti ad IVA”.

Non pare dubbio che l’accertamento compiuto nel precedente giurisprudenziale richiamato, assuma rilevanza anche nel presente giudizio, tenuto conto che, per giurisprudenza costante della Corte, la valutazione della obiettiva incertezza sulla portata applicativa della norma tributaria, non deve essere riferita al dubbio soggettivo prospettato dall’interpellante, o ancora a una valutazione di incertezza effettuata dalla Agenzia fiscale interpellata, e dunque a circostanze fattuali suscettibili di variare in relazione alle diverse fattispecie concrete dedotte in giudizio, ma sussiste errore esimente, determinato dalla incertezza normativa, soltanto quando la disciplina normativa da applicare si articoli in una pluralità di prescrizioni, con un coordinamento concettualmente difficoltoso per equivocità di contenuto, derivante da elementi positivi di confusione, il cui onere di allegazione grava sul contribuente.

Quindi, compensando le spese tra le parti, si accoglie il ricorso del contribuente solamente in relazione alla inapplicabilità delle sanzioni.

È un approdo, questo, che ci piace, in quanto fa emergere la bontà di una lettura delle norme che deve ben chiarire che al contribuente non può essere richiesto l’impossibile.

La norma tributaria dovrebbe essere quanto più possibile chiara, stringata e di univoca interpretazione.

Non si può invece tollerare il continuo cambio di interpretazione nel tempo; ovviamente, ci sono questioni di difficile soluzione, per le quali la situazione prospettata rimane una chimera.

In queste ipotesi il rimedio esiste, senza che nessuno si stracci le vesti: le sanzioni vanno disapplicate e richiesta la sola imposta.

Di tale principio si dovrebbe fare ampio utilizzo, poiché numerose sono le aree grigie del sistema che, nello specifico, spesso vede il concretizzarsi della prassi solo a distanza di tempo rispetto al momento applicativo della norma, con la conseguenza che un comportamento che in dato momento potrebbe essere ritenuto condivisibile, viene poi bollato come errato a distanza di anni.

Da un lato, quindi, non resta che auspicare una azione limpida del legislatore (che dovrebbe quantomeno applicare tecniche di scrittura delle norme incontrovertibili) e, dall’altro, una serenità in capo al contribuente che, in caso di errore su materie controverso, dovrebbe sempre poter contare sul riparo dalle sanzioni.

Con questi “antidoti” si rafforzerebbe davvero il rapporto limpido tra contribuente e amministrazione; non occorrono dunque tanti proclami, basterebbe applicare pochi principi basilari.