6 Ottobre 2018

Niente confisca in caso di estinzione del debito tributario

di Luigi Ferrajoli
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In tema di reati tributari, una questione di grande rilevanza è rappresentata dalla confisca.

Secondo quanto stabilito dall’articolo 12-bis D.Lgs. 74/2000, in vigore dal 22 ottobre 2015, in caso di condanna o di “patteggiamento” per uno degli illeciti previsti nel menzionato decreto, “è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto”. Tuttavia, come specificato dal secondo comma della norma, la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario, anche in presenza di sequestro. Qualora non vi sia il versamento, la confisca è sempre disposta.

Con la sentenza n. 32213 del 13.07.2018, la Corte di Cassazione, Sezione Terza Penale, ha deciso in ordine al ricorso presentato da una persona sottoposta ad indagini, in qualità di amministratore unico di una società, per il reato previsto e punito dall’articolo 2 del richiamato decreto, a carico di cui era stato emesso un provvedimento di sequestro preventivo fino alla concorrenza del valore massimo relativo alle imposte indirette assunte come evase.

Nel caso di specie, si versava in disciplina di reverse charge e la società aveva provveduto ad ottenere un provvedimento di “condono tombale”.

Secondo il ricorrente, avvenuta l’estinzione del debito tributario, come nel caso di specie, sarebbe venuta meno la funzione del vincolo reale posto a carico del contribuente.

La Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso e ha pronunciato annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato e la restituzione all’avente diritto di quanto in sequestro.

In particolare, secondo il Giudice di legittimità l’ordinanza impugnata non ha applicato correttamente l’articolo 12-bis, comma 2, D.Lgs. 74/2000.

Essendo il sequestro, chiaramente, una misura prodromica alla successiva confisca del profitto del reato, la circostanza che il contribuente abbia interamente versato all’erario gli importi richiesti dall’Agenzia delle Entrate in riferimento a tutte le annualità in contestazione “si pone come elemento necessariamente ostativo alla possibilità di procedere alla confisca di quello che, dal Tribunale, è ritenuto essere il profitto del reato e, per l’effetto, al sequestro finalizzato alla confisca medesima”.

La Corte di Cassazione, con argomentazione limpida, ha dunque affermato che, con riferimento al secondo comma dell’articolo 12-bis, la non operatività della confisca, diretta o per equivalente, “si riferisce alle assunzioni di impegno nei termini riconosciuti e ammessi dalla legislazione tributaria di settore, ivi compresi gli accertamenti con adesione, la conciliazione giudiziale, le transazioni fiscali ovvero l’attivazione di procedure di realizzazione automatica o a domanda”.

Ciò comporta che, ai fini dell’esclusione della confiscabilità del profitto del reato tributario, rilevanza determinante debba essere attribuita alla quantificazione operata in sede amministrativa, anche nell’ipotesi in cui la stessa risulti divergente da quella acquisita in ambito penale.

Se tale principio risulta operante in caso di impegno del contribuente, a fortiori troverà applicazione nell’ipotesi in cui il medesimo abbia provveduto all’effettivo adempimento attraverso il pagamento di sanzioni e interessi.

Da ciò deriva che un eventuale richiamo al principio del doppio binario, come effettuato dal Tribunale nel caso de quo, basato sull’assunto che le determinazioni dell’Agenzia delle Entrate non siano vincolanti per il Giudice penale, non sia pertinente.

Secondo la Suprema Corte, infatti, tale principio “trova applicazione in relazione alla sussistenza di elementi tipici di questo o di quell’illecito penale tributario, ma non relativamente alla determinazione del profitto del reato, laddove il creditore, ossia l’Agenzia delle Entrate, a seguito del pagamento di quanto dovuto dal contribuente, dichiari di non aver più nulla da pretendere dal contribuente medesimo”.

Il principio cristallizzato nella pronuncia oggetto del presente intervento è dunque il seguente: “così come la previsione di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, articolo 12 bis, comma 1, disponendo, come obbligatoria, la confisca dei beni che, ai fini che qui rilevano, costituiscono il profitto dei reati tributari, è posta a garanzia della pretesa tributaria, parimenti l’ipotesi del comma 2, sta a significare che se non vi è pretesa tributaria, nemmeno vi può essere confisca e, di conseguenza, neanche la cautela reale ad essa finalizzata”.

 

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